DI STEFANO SICA

Venticinque lunghissimi anni, eppure sembra ieri. Era l’estate del 1991 quando il calcio in penisola rivedeva la luce grazie al titolo sportivo del San Giorgio, che all’epoca militava in Promozione. L’AC Sorrento, dopo un buon campionato di C2, aveva subìto l’onta dell’esclusione a causa di una grave crisi finanziaria che l’aveva costretto a ripartire dall’Interregionale. Due stagioni nel massimo torneo dilettantistico, la retrocessione in Eccellenza e poi il baratro. Ora come allora, quella società era tenuta in vita artificialmente, senza alcuna speranza di ripresa tecnica ed economica. E il destino fece il suo corso. Spariva il Sorrento nato nel 1945. Quello che aveva steso il Napoli in una memorabile serata di Coppa Italia al San Paolo datata 29 agosto 1971, quello del Comandante Lauro, dei Bozza, dei Lorenzini, dei Costantino e dei Nando Scarpa. Quello che, con la dignità di una piccola e l’orgoglio di una grande, si tolse la soddisfazione di disputare un campionato di B fronteggiando big dal passato illustre. Fu allora che, grazie ad un’intuizione degli imprenditori sorrentini Carlo Cuomo ed Antonino Castellano, il Sorrento fu rifondato con la denominazione di AS. Al centro del progetto c’erano tanti ragazzi della costiera come Giuseppe Castellano e Amedeo Gargiulo o i giovanissimi Antonio Longobardi, Federico Cuomo, Antonio Guarracino, Luigi e Giulio Russo. C’era una vecchia gloria come Enrico Vendittelli ed elementi di grande qualità come Pietro Stefanelli e Francesco Taiano. Quindi la lenta risalita verso il campionato Nazionale Dilettanti nel 1998 e il ritorno, sei anni dopo, tra i professionisti. Una cavalcata resa possibile dalla lungimiranza di Castellano che, nel frattempo, aveva trovato una perfetta sintesi con l’entusiasmo e le risorse di Franco Giglio. Ovvero l’artefice di questo Sorrento-ter dai programmi ambiziosi e dai sogni candidi. E anche in C, quel Sorrento non ha mai assunto il ruolo della comparsa. Una promozione in C1, tante salvezze brillanti, e la B sfiorata sotto la gestione Mario Gambardella. Momenti indelebili, che disegnavano una escalation inarrestabile in una sorta di ipnosi collettiva che coinvolgeva la costiera intera. Un’ennesima Coppa Italia messa in bacheca dopo quella regionale e un’altra di D. Il Sorrento pareva davvero un treno in corsa che niente e nessuno avrebbe potuto fermare. Verona prima, e Carpi poi (era l’anno in cui Sarri aveva lasciato il testimone a Ruotolo), impedirono ai rossoneri di spiccare il volo sul più bello.

Sfumata la cadetteria per mano degli emiliani, poi sconfitti nella finale play-off dalla Pro Vercelli, ebbe avvio l’era crepuscolare che avrebbe portato al definitivo crac societario. Un declino iniziato, in realtà, dopo il disimpegno della famiglia Gambardella che aveva lasciato in dote al suo successore, l’avvocato Francesco D’Angelo (già suo amministratore delegato), contratti gravosi ed oneri inaccessibili. E’ da questo momento che si inizia a scrivere la fine del Sorrento. In un contesto, ovvero, di difficile governabilità in mancanza di una proprietà forte. E intanto la massa debitoria cresceva, Equitalia bussava alla porta del club e la sussistenza finanziaria del Sorrento era sempre più in fase terminale. Le varie guide societarie che si sono distinte per la loro approssimazione, hanno solo acuito ogni tipo di problematica, in un trionfo di progetti tecnici dal respiro corto e di caos organizzativo. Quindi le quattro retrocessioni consecutive dalla Prima Divisione alla Promozione regionale (categoria alla quale il club aveva rinunciato ad iscriversi oltre un mese fa), col Sorrento relegato nella stagione passata al confino per gli ingenti debiti accumulati con l’amministrazione comunale sull’utilizzo del campo Italia.

A questa storia ha posto ieri fine la sezione fallimentare del Tribunale di Torre Annunziata, diretta dal Giudice Delegato Massimo Palescandolo, decretando il fallimento del Sorrento calcio srl. Curatore fallimentare è stato nominato il commercialista Nicola Lucherini, il quale si occuperà di amministrare il patrimonio del club fallito per il soddisfacimento del comitato dei creditori. Tanti, in verità. A partire da ex tecnici, membri dello staff e calciatori che hanno vestito il rossonero dalla D in avanti. E che, dopo aver aver visto riconosciuti i loro diritti in sede sportiva con le numerose vertenze che hanno condannato il (fu) Sorrento calcio al pagamento di somme importanti per stipendi non onorati, potrebbero iscriversi anche al gruppo dei creditori percorrendo la via giudiziaria.

L’azione di fallimento era stata promossa dagli ex dipendenti Franco Imperato (segretario), Pietro Romano (addetto stampa) e Catello Bonifacio (magazziniere), i primi due rappresentati dall’avvocato Pasquale Damiano, il terzo da Casimiro Donnarumma. Tre pezzi di storia del Sorrento che menti perfide e mani maleodoranti hanno provato ad infangare, senza però riuscirci. Perché, alla lunga, l’irrazionalità non può mai prevalere sulla verità dei fatti. Una verità che, lo diciamo con un pizzico di presunzione che pure non ci appartiene, abbiamo raccontato mesi fa in ogni dettaglio, tra l’approvazione di tanti ma anche i dubbi e le malignità di qualcuno. Affezionati, come siamo, ai fatti che un tempo galantuomo ha portato a galla in tutta la loro ineluttabilità.

Adesso, uno degli obiettivi del nuovo Football Club Sorrento sarà proprio quello di aggiudicarsi all’asta fallimentare lo storico stemma con le cinque losanghe. Per chiudere definitivamente col passato e con i suoi, improbabili, interpreti. Per accreditarsi quella continuità sportiva che già vive nel cuore dei tifosi e nella passione di una terra che non aspetta altro che un riscatto riparatore. E’ stato tutto troppo bello, tutto troppo coinvolgente. Ma adesso si riparte. Per divertirci ancora.

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