SERVIZIO A CURA DI MAURIZIO LONGHI

“…Ti prego, dai, raccontami le storie che tu sai di quelle che non ho sentito mai. Di favole, ti giuro, che davvero non ne so ma una sul pallone se mi riesce te la inventerò…”. Il testo di questa canzone fu scritto nel 1978, si chiamava “La favola dei calciatori”. Un decennio dopo della favola di Pietro Sani e del Sorrento. Quante favole sono state scritte nel calcio, soprattutto se andiamo indietro negli anni, quando non c’era tutto il clamore mediatico dei nostri tempi. E ci sono favole che sono entrate nella storia di alcuni club e rievocarne la memoria fa riaffiorare quelle emozioni sempre vive e mai sopite. Sì, ora raccontiamo quella storia di gloria che riguarda il Sorrento. Correva l’anno ’68-’69, la Turris sembrava lanciata verso la promozione in serie C, ma non fece i conti proprio con il Sorrento, che riuscì a reggerne il passo, ridusse il gap di punti approfittando di un momento di crisi dei corallini fino a raggiungerli in vetta all’ultima giornata. Ci furono tanti particolari interessanti, tanti dettagli che fanno da cornice ad una vera favola, ma non li sveliamo in quest’incipit e li rimandiamo alle righe successive. Quel grande inseguimento del Sorrento fece sì che per decretare la vincitrice del girone si dovesse disputare uno spareggio. 6 giugno 1969: gara secca in campo neutro, al Flaminio di Roma. Costieri e vesuviani confluirono nella Capitale, ma solo per una tifoseria sarebbe stata una notte speciale, come una finale. In realtà, a sostenere i rossoneri ci fu anche qualcuno di Castellammare, come il conosciutissimo Giarrone, tifoso storico della Juve Stabia, che bruciò una bandiera della Turris provocando una dura reazione dei loro tifosi. Mancava un quarto d’ora alla fine dei tempi regolamentari, dalla distanza ci fu una sventola di Pietro Sani, difensore centrale, che trafisse Oriente e gelò i tifosi giunti da Torre del Greco. Pare che il portiere corallino fosse fidanzato con una sorrentina e non poté più mettere piede nella città vesuviana. Fu una delle giornate più belle della storia del Sorrento, una data memorabile: mister Rambone e i suoi giocatori diedero vita alla marcia su Roma. Un cammino per firmare una gloriosa impresa e issare la bandiera rossonera. L’eroe di quella partita fu Pietro Sani, entrato dritto e di diritto nei cuori dei sorrentini e nella storia del club, lo raggiungiamo telefonicamente per rituffarci in quegli anni e per rispolverare quelle emozioni.

Non si può descrivere il suo oh di meraviglia quando gli diciamo di contattarlo da Sorrento, come se non ci credesse: “Sorrento? Lasciatemi stare Sorrento! Nessuna me la tocchi. Peccato non viverci...”. Chi mette piede a Sorrento si innamora, non può essere altrimenti. Con Pietro Sani fermiamo il tempo e arriviamo a quella partita, chiedendogli di raccontarci cosa gli viene in mente: “Ricordo dei festeggiamenti infiniti, il corteo di gente che ci accolse al nostro ritorno da Roma. C’era un’attesa febbrile per questa partita, già da una settimana prima di sentiva nell’aria l’importanza di quello spareggio. Quanta gente per strada, che spettacolo! Dopo la partita ci fermammo a Roma e rientrammo la mattina dopo, era una splendida giornata di sole, già da Piano il nostro pullman fu invaso dai tifosi. La gente ci portò in trionfo scortandoci fino alla sede che si trovava in Via degli Aranci. Si leggeva tanta gioia sul volto del capitano Fiorile, il portiere Gridelli mi si avvicinò dicendomi: ora ti mando in pasto a tutti. Fu qualcosa di indescrivibile, una gioia indimenticabile”. Viene quasi la pelle d’oca, quella partita resterà per sempre impressa nelle menti e nei cuori dei sorrentini. Ma cosa si percepiva alla vigilia? “Eravamo convinti di poter vincere. Trascorremmo il ritiro nel centro sportivo del Coni, nei pressi di Gaeta. Tutto per favorire la concentrazione, non volevamo assolutamente perdere al grande appuntamento. E poi arrivammo tutti bene a fine campionato, cosa che non poteva dirsi per la Turris”. Sorrento e Turris terminarono il campionato a pari punti: gli scontri diretti finirono 0-0 sia al “Campo Italia” che al “Liguori”. Le statistiche, però, dicono che i rossoneri chiusero sia con la miglior difesa che col miglior attacco (51 gol fatti contro 47, 16 subiti contro 19). Eppure, la prima parte ebbe un’unica protagonista: “Ci fu equilibrio da metà campionato in poi, prima la Turris sembrava in fuga ma noi le recuperammo molti punti. Se non sbaglio persero due partite consecutive e ne approfittammo per insidiarle il primato in classifica, poi successe di tutto all’ultima giornata. La Juve Stabia, in cui militava il mio grande amico Salvatore Acampora nonché sorrentino doc, impose il pari alla Turris e quel punto permise agli stabiesi di salvarsi e vietò ai corallini di brindare alla promozione perché noi, vincendo contro l’Angri, li acciuffammo in classifica andando a vincere il campionato nello spareggio di Roma”. Neanche il più grande sceneggiatore avrebbe potuto scrivere un simile copione. Se il Sorrento vinse quel campionato fu anche grazie alla Juve Stabia che, proprio all’ultima giornata, impattò contro la Turris. Ed è risaputo che anche a Castellammare fu osannata l’impresa del Sorrento, come se regnasse un amore tra sorrentini e stabiesi. “Complimenti caro cugino, hai battuto il corallino”, possiamo immaginare queste parole rivolte a un sorrentino da uno stabiese, magari tra una bella stretta di mano.

Pietro Sani ci ha raccontato i festeggiamenti post-successo, ma gli chiediamo di farci entrare in campo, magari proprio accanto a lui, con il pallone sospeso tra il suo destro e la porta avversaria: “Ero un difensore centrale, uno stopper per la precisione, mentre Biasini era un mediano. Quando decidevo di andare avanti, lui sapeva di dovermi coprire. Ricordo che conquistai palla e subito gridai a Biasini di restare indietro. Avanzai palla al piede per 25 metri, poi feci partire un tiro di destro, io che ero un mancino naturale, e non vi dico che gioia quando vidi il pallone insaccarsi all’incrocio dei pali. Dopo il mio gol finì la partita, certo mancavano ancora quindi minuti, ma la Turris non ebbe più la forza di reagire tanto che subì il colpo. Fino al momento decisivo, regnò grande equilibrio, non ci furono grandi occasioni né grandi interventi dei portieri, come se entrambe avessimo paura di scoprirci e di prendere gol. Si badava a non prenderle, solo un episodio poteva sbloccare il risultato e fu per noi una apoteosi”. Il timoniere di quel Sorrento era il pittoresco e vulcanico Gennaro Rambone, compianto appassionato e conoscitore di calcio. Ma chi era nello spogliatoio? “Era un gran soggetto, eh! Preparatissimo tatticamente, conosceva gli avversari a menadito, un maestro nel preparare le partite, ma che caratteraccio! Ci faceva lavorare tantissimo, ma ci rompeva le scatole sia in campo che fuori. Credo proprio che le sue asprezze caratteriali l’abbiano frenato nella carriera perché aveva tutte le doti per arrivare in alto. Vi racconto degli episodi: siccome c’era chi diffondeva insinuazioni sul nostro conto, arrivò all’orecchio del mister che ero rientrato tardi una sera ma non era affatto vero, andavo a dormire sempre alle 21.30. Rambone venne da me e minacciò di mandarmi via poi, fortunatamente, capì la verità. Ci furono dei problemi anche durante il campionato, alcuni giocatori, tra cui Vit e Ascatigno, volevano mandare via Rambone per divergenze e incompatibilità caratteriali. Infatti, a Benevento, non venne neanche in panchina, quando lo seppe il Comandante Achille Lauro ci convocò di lunedì mattina nel suo studio a Napoli. Ci ghiacciò dicendo tre cose chiare con la sua proverbiale fermezza: “Torino è il nostro presidente, Rambone il nostro allenatore, se qualcuno deve andare via lo decido io”. Nessuno fiatò, non volò una mosca, così Rambone ritornò in sella e andammo a vincere il campionato. Mi viene da fare una sola considerazione: che uomo il Comandante!”. I vertici societari erano molto vicini alla squadra e intervenivano per dirimere qualsiasi controversia. Segno che non si può prescindere dalla solidità societaria, Sani è d’accordo: “Era veramente una società sana, quella che serve per raggiungere traguardi e successi. Qualche anno fa, andai a vedere il Sorrento contro la Pistoiese, ero in compagnia di un mio grande amico dirigente della Lucchese, ebbi la possibilità di parlare con Rastelli, attuale tecnico dell’Avellino che indossava la maglia rossonera, lui ci parlò benissimo della loro società che, non a caso, portò in alto il Sorrento”. Un’ultima cosa: di ritorno dalla Capitale, fu festa grande nella terra delle Sirene. Ma, al fischio finale dell’arbitro, cosa successe? “Si brindò negli spogliatoi, dopo la gara si bevve anche parecchio e festeggiammo per Roma come dei matti, veramente dei matti. Il delirio continuò in albergo, non si dormì quella notte. Poi l’accoglienza che ci riservarono i sorrentini fu favolosa, unica. Ricordo che, dopo tre o quattro settimane, ci fu un’amichevole dove completammo la festa insieme ai nostri amati tifosi”.

Arrivare da Firenze per indossare la maglia rossonera. Mettersi a guardia della difesa, con il compito di sventare i gol anziché realizzarli. Ma poi succede che ci si scopra bomber nella partita decisiva, con la promozione in palio, quanto basta per diventare un eroe, ricordato per sempre tra i sorrentini: “A proposito, verrò presto al “Campo Italia” a vedere una partita e sempre Forza Sorrento!”.

 

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