SERVIZIO A CURA DI MAURIZIO LONGHI. E’ una giornata fantastica. Il sole rifulge sulla costiera. Il caldo toglie il respiro, per le strade di Sant’Agnello si vedono flotte di ragazzi pronti per andare in spiaggia, quasi tutti in bermuda e con gli zaini sulle spalle. Don Pasquale Ercolano mi aspetta nella sua casa, abbiamo fissato un appuntamento al telefono con lui per parlare della sua passione per il Sorrento. Ma chi è don Pasquale Ercolano? E chi è che non lo conosce? Lui è un sacerdote che, da decenni e decenni, segue i rossoneri in ogni dove. Si mette al volante e raggiunge i posti più disparati d’Italia per amore verso questi colori, per uno come lui è naturale passare da un altare ad un rettangolo di gioco, da una navata ad una bandierina, da un affresco su tela ad uno schema sulla lavagnetta, da un canto gregoriano ad un coro da stadio. Mi accoglie con grande affabilità, mi conduce in una stanza fresca e ariosa, a sinistra, sulla parete, è appesa una targa del Sorrento Calcio dedicata a lui, in qualità di Padre Spirituale. La tiene come un cimelio, una reliquia, ne va orgoglioso. Mi fa sedere di fronte a lui, a separarci c’è una scrivania piena di roba, don Pasquale mi indica uno scatolo di gustosi cioccolatini invitandomi ad assaggiarne qualcuno. Dietro di lui ci sono degli scaffali che grondano libri, ad un certo punto, senza che gli rivolga alcuna domanda, prende lui la parola e capisco subito che è difficile, quasi impossibile, porre un argine al torrente scatenatosi dentro di lui.

LEZIONE SULL’AMORE. Va per gradi come se, prima di passare alle questioni che riguardano il Sorrento, volesse rimarcare alcuni aspetti precipui: “Sai, siamo tutti figli dello sport! Lo sport è vita, ogni cosa è ispirata dal nostro animo che, per natura, è sportivo. Che poi si lavori per arrivare al successo, è naturale anche questo, in tutti noi c’è un orgoglio, un amor proprio, ed è normale. Perché è normale? Semplicemente, perché anche questo fa parte della nostra natura. Vedi, la vita è sempre una sfida, bisogna essere combattivi e io sono un combattente nato. Ma tutti noi abbiamo una natura combattiva, che trova massima espressione nello sport. Ecco perché lo amo, ci tengo, però, che venga fuori più l’agonismo che l’antagonismo. Lo sport è anche un grande fattore di aggregazione, tante persone, che magari non si conoscono neanche, si ritrovano ad abbracciarsi per un gol della loro squadra del cuore. Se il calcio unisce le persone, è una vittoria di tutti e bisogna far sì che emerga questo messaggio di unione e non di divisione. Guarda, diffido molto di quelle persone che si definiscono ultras ma vanno allo stadio solo per essere al centro di scontri e tafferugli, addirittura si mettono spalle al campo, come se la partita non contasse nulla. Purtroppo, oggi più stiamo insieme e più ci sentiamo isolati. Come una persona che colleziona tanti flirt ma non riesce ad amare, è questo il rischio più grande che stiamo correndo e che non dobbiamo sottovalutare...”. Il concetto di sport secondo don Pasquale Ercolano, sacerdote col pallone, possiamo dire. La sua è una idea che nobilita l’attività sportiva, la riveste di una moltitudine di significati che va dal sociale al valoriale. “Nella vita, bisogna farsi continue domande, sia chi ha fede e chi si professa ateo, tutto deve partire da una serie di interrogativi a cui cerchiamo di dare delle risposte per capire il senso della vita. Per esempio, come ci si può spiegare che in tutti noi ci sia un cervello dotato di memoria, un cuore in cui risiede la capacità di amare? L’unione di due persone come un uomo e una donna deve essere visto come l’esaltazione dell’essenza della vita, l’esperienza più bella della natura umana, non la ricerca di meri piaceri estemporanei. L’amore è un sentimento spontaneo che non riusciamo a governare, non ce ne rendiamo conto, per capire se un amore sia vero e autentico è quando si basa sulla gratuità e sulla bellezza interiore. Spesso, non sappiamo neanche noi perché ci innamoriamo di una persona piuttosto che un’altra, l’amore è un sentimento che esplode dentro di noi e ci cambia. Ecco, io guardo lo sport attraverso gli occhi dell’amore...”. Un monologo sull’amore, eh già, amore. Una parola tanto abusata ma di cui, forse, non si conosce l’essenza, quell’amore di cui tutti siamo alla ricerca e che desideriamo sin da quando nasciamo. Gli aspetti sono tanti e variegati, tra cui il coinvolgimento emozionale: “L’emozione è tutto, è il motore che fa andare avanti, che dà forza e coraggio a differenza dello scoramento, che provoca abbattimento e un senso remissivo. Quando si parla di emozioni, bisogna andare a fondo, scandagliando il significato della parola stessa, che richiama un movimento interiore che ci spinge ad andare alle radici. E quando si va alle radici di un qualcosa, non si arriverà mai fino in fondo, ma già il fatto di essersi immersi, significa che si sta facendo qualcosa che risiede in noi stessi, nelle nostre viscere. Anche l’amore risiede in noi stessi e, ripeto, ha un potere deflagrante, non lo si può incapsulare. Come l’amore che c’è nel cuore di una mamma, non si può descrivere ciò che è infinito. Come ci si può spiegare un fatto che una donna tenga dentro il suo grembo un vita, la dà alla luce, la cresce per anni per poi dover subire le insofferenze di un figlio che, potrà fare anche il peggior torto alla propria mamma, ma sarà sempre amato e perdonato. Le radici di quest’amore non si trovano, non perché siano sepolte e debbano essere rispolverate, ma perché sono intrinseche nella natura. Un po’ come i semi che Dio ci dà e che noi dobbiamo rendere fruttuosi, un esempio? Basta pensare che da quelli dell’uomo e della donna nasce una vita dalle sembianze dei genitori. Un altro rischio che corriamo è quello di impossessarci di questi doni di Dio, sfruttandoli secondo le nostre convenienze finendo anche per venderli”. Non un monologo ma una lezione sull’amore. Una lectio magistralis. Prima di parlare del Sorrento, c’è tempo per allargare ulteriormente una mentalità, come quella sportiva, avulsa da concetti come amore, fratellanza, rispetto, sana competizione e inquinata da fenomeni di scandali e violenza: “Tutto quello che ci siamo detti ha una grande attinenza con lo sport il cui vero volto è la sua anima che, a sua volta, trova espressioni in diversi ambiti. C’è chi esprime meglio l’anima dello sport attraverso un pallone di calcio, chi quello di rugby, chi quello di pallavolo e via dicendo, al centro ci sono sempre le persone. Le stesse persone che amano e che si emozionano. Chi fa sport è spinto da una passione, questa parola richiama anche la sofferenza e da essa si può arrivare alla gioia. Impossibile gioire senza soffrire, tutte le squadre per ottenere dei successi devono avere la capacità di saper soffrire. Nello sport, come nella vita, bisogna avere l’ispirazione a combattere. Combattere significa mettere in gioco se stessi, allenarsi tanto e bene per sperare di arrivare al successo. Ma, nello sport, si può vincere anche quando si perde. Succede quando si ha la consapevolezza di aver dato tutto, vincere significa accumulare un grande bagaglio di esperienza nel cammino della proprio vita che forma e tempra la nostra persona. Se i giovani d’oggi hanno tutti questi problemi è per una mancanza di esperienza, non di cultura che mancava alle vecchie generazioni e non alle nuove. Lo dico io che da sacerdote predico sempre ciò che sperimento, come potrei fare diversamente? Mi sembrerebbe assurdo. E questo, da come si può capire, è un discorso che prescinde dalla fede, quest’ultima è totalmente un’altra cosa. E non abbiamo paura di entrare in crisi, perché sono momenti normali, possono nascere sia nel rapporto con Dio che tra due persone, l’esperienza mi ha insegnato che poi succede qualcosa che ci risolleva e ci fa capire cosa cercavamo”.

RICORDI DI IMPRESE. Ora veniamo a noi: al Sorrento. Alla squadra che muove le sue gambe ma soprattutto il suo cuore. Anche questa è una forma di amore, sobbarcarsi km su km per una partita: “Sono un grande appassionato di calcio e il Sorrento viene prima di tutto. Ho sempre cercato di far sentire il mio sostegno ai giocatori, ho sempre invitato la squadra in parrocchia. Tempo fa, prima delle partite, entravo negli spogliatoi per incoraggiare i ragazzi, ora non è più possibile. Bisogna vedere prima le persone e poi il pallone. Sono tanti, comunque, i ricordi che porterò sempre nel cuore. Ricordo una trasferta a Caltagirone, incontrai il cugino di Franco Imperato, attuale segretario del Sorrento, che stava con la moglie e i due bambini, che avventura per trovare lo stadio! Facemmo un tratto con la macchina e un altro con il traghetto, in auto loro stavano dietro di me, li feci ammattire: la partita iniziava alle 14.30 e noi arrivammo con dieci minuti di ritardo. Tant’è che al ritorno, mi fecero capire, gentilmente, che preferivano non assecondare un pezzo come me. Ecco, anche da questi racconti mi rendo conto di come il cammino di vita ci faccia uomini e tempri la nostra personalità. Per quante volte ho seguito il Sorrento in trasferta partendo la domenica alle 5 del mattino dopo una frenetica giornata in parrocchia, ero costretto a fermarmi per strada per riposare un po’, ma il Signore mi è stato sempre vicino. Come quando, verso Foggia, la macchina si bloccò in una paesino sperduto, non c’era un’anima viva e non sapevo come risolvere la situazione. Mi fermai dieci minuti, la macchina diede segnali di vita lungo una interminabile discesa e, in qualche modo, arrivai allo stadio in tempo”. Si apre anche il suo scrigno dei ricordi. Ne sono tantissimi, ma ce ne uno che resterà impresso per sempre nella sua mente e nel suo cuore: “Come dimenticare il pomeriggio del “Flaminio”! Ci fu un esodo da Sant’Agnello, il giorno prima della partenza non si trovava un pullman, be’ ne riempimmo uno nel giro di qualche ora. Ti lascio immaginare la frenesia di quei giorni. Quel Sorrento era allenato da Gennaro Rambone contro cui vinsi anche una partita 1-0, quando allenavo gli esordienti del Sant’Agnello e lui quelli del Sorrento. Comunque, di quella storica partita, ricordo che entrammo allo stadio due ore prima, nel nostro settore c’era anche Giarrone, famigerato e bizzarro tifoso della Juve Stabia, che tirò fuori una bandiera della Turris e la bruciò. Questo gesto contrariò i tifosi corallini, quattro in particolare che, invasero il nostro settore, armati di oggetti contundenti. Il brutto episodio, lasciò sgomenti alcuni nostri tifosi che tornarono nel pullman senza più seguire la partita. Se il Sorrento si ritrovò a giocare quello spareggio fu anche grazie alla Juve Stabia che, nell’ultima giornata, impattò contro la Turris che, vincendo, avrebbe brindato alla promozione diretta. Vincemmo quello spareggio con un gol di Sani, uno che non aveva mai segnato prima. Un altro episodio curioso e simpatico ha riguardato il portiere di quella Turris che, essendo fidanzato con una sorrentina, dopo quella partita, non poté più mettere piede a Torre del Greco. Che bello poi il viaggio di ritorno in pullman, sapevamo che, per raggiungere la costiera, dovevamo passare anche per la terra corallina, molti pensarono di cantare e festeggiare la vittoria e, non so come, ma in quel momento decisi di fare più il sacerdote che il tifoso e invitai ad essere moderati evitando provocazioni”. È un tuffo nei ricordi, per chi ha avuto la fortuna di vivere le emozioni palpitanti di quella giornata. Una carovana festante di sorrentini di ritorno da un’impresa. Un campionato che sembrava ormai sfumato, acciuffato per i capelli e poi vinto nella Capitale. Ma per don Pasquale, gli aneddoti da raccontare non sono finiti: “Ricordo una trasferta a Trapani, anche questa volta andai con un pullman di tifosi, questi proprio scalmanati e quasi ingestibili. Mentre eravamo a 100 km dalla destinazione, mi arrivò una telefonata: era il Questore di Trapani. Mi chiese se fossi don Pasquale Ercolano e mi raccomandò di tenere a bada le escandescenze dei ragazzi. Ci provai ma, appena arrivammo allo stadio, da noi partirono i peggiori epiteti, non ero riuscito a tenerli buoni, così mi defilai ed entrai in un altro settore. Appena arrivai, c’era un vecchietto che mi guardava e rideva, non sapevo cosa ci trovasse da ridere così tanto, ad un certo punto, mi disse: “Don Pasquale, sono il Questore”. Per vendetta, ci fecero aspettare due ore prima di abbandonare il campo. Almeno fu un buon pareggio. Bellissima anche la trasferta di Licata, di quella squadra che vinse il campionato faceva parte anche il giovane Ruotolo. Vincendo in casa della squadra di Zeman, si capì di poter essere promossi. C’era un clima infuocato, rimanemmo chiusi negli spogliatoi ma la scena memorabile fu quando riuscii ad uscire ritrovandomi in mezzo ai tifosi locali, all’improvviso mi sentii chiamare dal Maresciallo Calatri, munito di sciarpa rossonera, feci finta di non sentirlo e di non conoscerlo, mi presi uno spavento: potevamo diventare il loro facile bersaglio e, chissà se tra quei tifosi, non ce ne fosse qualcuno insofferenti ai preti...”. L’enfasi con cui narra questi episodi, strappa un sorriso, come se volesse riviverli, come se quelle emozioni si ripresentassero con la stessa intensità. E quando gli chiediamo il ricordo più brutto, ecco dove si ferma la sua mente: “Sicuramente la partita casalinga con la Lazio nel campionato di serie B, la risolse Chinaglia su rigore. Purtroppo, ne eravamo una cinquantina sugli spalti, la speranza che qualche tifoso napoletano potesse venire a supportarci sfumò dopo la vittoria di coppa Italia proprio ai danni di quella squadra di Zoff e Altafini. Quella notte fu gloriosa ma ci si impose a malincuore, perché si era capito che avrebbe incrinato i rapporti con la tifoseria partenopea”. Si ha la sensazione di parlare con uno che ha vissuto tutto la storia del Sorrento, sicuramente ha avuto la fortuna di viverne i momenti migliori, quelli in cui si era protagonisti. Ma chi è stato il calciatore, o i calciatori, che ricorda con particolare affetto e nostalgia? “Uno è sicuramente Nando Scarpa, quello perché aveva la testa “ca nun er bon”, altrimenti, con quel talento, avrebbe potuto calcare tranquillamente i campi della massima serie. Da far strabuzzare gli occhi la sua doppietta nell’1-2 in casa della Salernitana, spettacolare quel colpo di tacco con cui sbalordì tutti, un numero da vero artista del calcio. Un altro che mi ha entusiasmato è stato l’attaccante Fortunato Loddi, era molto prolifico e uno spauracchio per le difese avversarie. Infine, dico Paolino Bozza, l’eroe del San Paolo, uno che eccelleva nella velocità con cui faceva sconquassi nelle retroguardie avversarie”.

IL SORRENTO OGGI. Passiamo a parlare del Sorrento attuale. Purtroppo non è gratificante ciò che si può dire, anzi, è una ferita aperta commentare due retrocessioni in due anni. Soprattutto dopo aver rinverdito i fasti d’un tempo, come la vittoria del “Flaminio”, la promozione in C1 nell’anno di Tascone-Canè e altro ancora, si stringe il cuore a parlare di ciò che è successo negli ultimi due campionati: “Che tristezza, a partire dall’anno scorso. Ero presente anche a Prato, passammo pure in vantaggio per poi crollare una volta subito il gol del pari. Quest’anno, invece, la difesa ha fatto acqua, in attacco le cose si sono pure aggiustate perché, bene o male, il gol arrivava sempre ma, troppo spesso, la retroguardia vanificava tutto. Quante partite abbiamo perso allo scadere! Nell’economia del campionato, hanno pesato tantissimo quei punti persi. Ah, se ripenso alla trasferta di Martina Franca! C’ero anche lì, quella fu davvero una prestazione pessima. E pensare che ci bastava un pareggio per sperare ancora nella salvezza diretta. Che peccato non avercela fatta per un solo punto, avremmo evitato gli spareggi, che proprio non ci arridono. A Frattamaggiore fu una disfatta generale, certo che anche l’arbitro ci mise del suo. Per esempio, perché espellere il nostro difensore in occasione del rigore? L’Arzanese già conduceva la gara con due gol di vantaggio, le viene assegnato un tiro dal dischetto, quel rosso era evitabile. Ma fu una partita in cui non andò bene niente, nella ripresa, potevamo segnare con Maiorino che, solo davanti al portiere, mirò il secondo e non il primo palo, fummo sfortunati su quel bellissimo tiro di Catania che sfiorò la traversa. Il ritorno poi mi ha lasciato perplesso perché, avevamo aggredito così bene l’Arzanese nella prima frazione, bastava continuare a farlo per altri dieci minuti nel secondo tempo, con loro in dieci, mah, sinceramente quell’atteggiamento non l’ho capito, eh no, non l’ho proprio capito…”. Il discorso cade su Simonelli, tecnico tanto bersagliato dai tifosi sorrentini sin dal suo arrivo, c’erano questioni pregresse che avevano lasciato grandi ruggini. Ma don Pasquale si lascia andare un giudizio personale adducendo motivazioni ben fondate: “Non giudico assolutamente la sua persona, ma sul piano tecnico non mi ha mai convinto. Sarà anche bravo ad orchestrare la squadra in settimana, preparerà benissimo le partite ma, in corso d’opera, non riesce mai a raddrizzarle. Ecco perché ha perso tutti questi spareggi nella sua carriera, si può perdere una volta, due, ma il fatto che si ripeta ciclicamente, deve indurre a porsi degli interrogativi. Non mi piace l’idea di cambiare le cose a dieci minuti dalla fine di una partita, in quei casi, se la partita si volge verso la tua direzione, è più per fortuna che per altro. E, poi, non bisogna avere una chiusura per i ragazzi ai quali, invece, va data la possibilità di esprimersi al meglio mettendoli nelle giuste condizioni. Dirò di più, e qui allargo il discorso, il declino del Sorrento è iniziato da quando non si è curato più il settore giovanile, lì ho capito che saremmo andati incontro ad anni difficili”.

È stata una chiacchierata fiume. Don Pasquale, se potesse, parlerebbe per un’altra mezza giornata. Quando si parla del Sorrento, sul suo volto si disegna l’espressione di un bambino entusiasta. Gli chiedo una foto ricordo, per immortalare un bellissimo momento. Il suo sguardo fissa la targa del Sorrento Calcio: “Facciamocela qui sotto…”. Come a dire, le persone passano, anche noi passiamo, resta quello stemma che richiede solo una cosa. Di essere sempre onorato.

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