Stefano Sica, napoletano di origini e di residenza, partenopeo doc, tifoso rossonero da sempre, giornalista di uno dei principali portali sportivi italiani (Tuttomercatoweb). Come ti dividi, la domenica, tra la partita del tuo Napoli, quella del nostro Sorrento e la tua professione di cronista?
“Non è affatto difficile, anche perché capita oramai raramente che Napoli e Sorrento giochino in contemporanea. Dal punto di vista professionale, curando le pagine della Lega Pro sul mio portale, ho fortunatamente la massima autonomia sulle gare da seguire. E, di conseguenza, la scelta non può che ricadere sul Sorrento”.

Come nasce la tua passione per il Sorrento?
“Intanto per un senso inguaribile di appartenenza. Sorrento è una mia seconda casa e tifare per la squadra di calcio che la rappresenta è stata la cosa più logica che potessi fare. Ho visto nascere questa società nel ’91. Un altro calcio, un’altra epoca. Più o meno inizia tutto da lì. Nel ’92 ero ancora un giovanissimo arbitro di calcio e chiesi ospitalità alla società per sostenere la preparazione precampionato. L’allora presidente, Carletto Cuomo, non esitò un attimo, da grande gentiluomo qual era. Ricordo le levatacce al mattino, in piena estate, e i trasferimenti frequenti a S. Agata. E il lavoro con mister Govetto, fatto di carichi fino a quel momento per me sconosciuti. Erano i primi passi di un rampante Giulio Russo. E poi c’erano Esposito, Vendittelli e Luigi Russo, sempre molto riservati ma professionisti esemplari. Petraccone e Federico Cuomo erano un po’ l’anima del gruppo. E anche Palmieri contribuiva a rendere quelle due ore di lavoro rilassanti. Il salto di qualità, per così dire, lo feci nel ’95. Mister Attardi mi consentiva con troppa generosità di disputare le partitelle di fine allenamento. Lui controllava quotidianamente il mio peso forma. Credo che alla fine del ritiro fosse rimasto soddisfatto dei miei progressi. Legai molto con De Gregorio e Vitale, ma Guarracino, anche lui un amico, era un autentico martello pneumatico: appena sbagliavo me ne diceva di tutti i colori. Una volta fui io ad arbitrare una partitella tra prima squadra e juniores. Fui costretto dopo un po’ ad interromperla perché due ragazzi stavano quasi per menarsi. Carletto Cuomo entrò in campo infuriato. Insomma, ricordi bellissimi”.

Stefano Sica (sx) e Michele Gargiulo al seguito del Sorrento in trasferta

Stefano Sica (sx) e Michele Gargiulo al seguito del Sorrento in trasferta

Quale ricordo, più degli altri, ti lega ai rossoneri?
“Sarebbe facile indicare due date: 7 maggio 2006 e 13 maggio 2007, giorni della promozione rispettivamente in C2 e C1. Giorni in cui il tempo sembrava fermarsi, di feste protratte fino all’alba. Oppure le vittorie di Coppa con Viribus, Giarre e Cremonese. Ma ricordo una partita vinta in D a Casoria con l’Internapoli quasi in extremis grazie a Donnarumma, con più di 100 sorrentini al seguito, e un’altra di domenica mattina al mitico Collana. La vittoria in Promozione con la Rinascita Vomerese, grazie ad una prodezza di Fiodo, lanciò definitivamente la squadra in alto rafforzando la consapevolezza che l’Eccellenza non sarebbe sfuggita. Ma mi viene a mente anche una gara sotto un diluvio pauroso al campo Italia con la Villacidrese. In rete c’è ancora la foto di quel famoso striscione antipioggia che utilizzammo nella Nord in quell’occasione. Ero tra i 10 che lo manteneva. Poi gli aneddoti meno piacevoli. La travagliata trasferta a Castellammare in cui si perse 2-0 o quella pure burrascosa a Pagani nel match di poule scudetto. O la maledetta gara di S. Anastasia che ci privò di qualsiasi speranza di tornare tra i professionisti. Per non parlare dei lunghi esodi a Terzigno, S. Anastasia e S. Prisco o di quando contribuimmo, da veri militanti, al piccolo restyling del campo prima che tornassimo finalmente a casa. Ma di cose da raccontare ce ne sarebbero tante altre”.

Sulla scia della precedente domanda, quale calciatore rossonero ricordi più degli altri. Paulinho possibilmente escluso…
“Ovviamente Gegè Rossi. Un uomo vero. Il simbolo di quel senso di appartenenza che purtroppo latita in tanti sorrentini. Ma non posso dimenticare neanche la generosità di Migliozzi, un guerriero, un giocatore molto legato alla città. E poi mister Cioffi, al quale mi lega peraltro un solido rapporto di amicizia. Persona eccezionale e tecnico preparato, simbolo del Sorrento più vincente della storia. Pensare a Cioffi significa rituffarsi in un’ipnosi di felicità, almeno per chi ha questi colori nel sangue”.

Quale “flop-player” ricordi, invece, con un rimpianto…?
“Mi sarei aspettato qualcosa in più da Fialdini, giocatore di classe pura. Era venuto qui con ottime credenziali, ma del suo potenziale abbiamo visto poco o nulla”.

Non sei un tifoso normale: la partita la segui direttamente dalla curva, partecipando attivamente al ‘quadrato umano’ che si sgola per incitare i ragazzi. Più degli altri conosci le problematiche della disaffezione dei sorrentini alla squadra della propria terra. E’ vero che uno dei problemi è proprio il “tuo” Napoli?
“Sarò sincero: c’ho sempre creduto poco. Anche domenica con l’Arzanese i numeri sugli spalti sono stati da codice rosso. E il Napoli aveva già giocato venerdì. In verità troppe volte abbiamo assistito ad un campo semideserto anche senza la seduzione del Napoli. Segno di un disamore che è cresciuto negli ultimi anni a prescindere da squadre maggiori. Quando il Sorrento riuscì ad asfaltare il Savoia in quel memorabile spareggio del 2005, il campo Italia era pieno come un uovo. E nello stesso tempo il Napoli si giocava ad Avellino un’altra finale play-off con ben due dirette televisive. C’è poco da fare: la Penisola, almeno nella stragrande maggioranza dei suoi abitanti, ha abbandonato questa squadra. Molti perché non l’hanno mai amata, tantissimi perché non vedono prospettive di crescita. Il quadro clinico è grave e la pay-tv ha finito per tramortirlo. Eppure il Sorrento non è un hobby: questa società ha una storia gloriosa fatta di 29 anni tra i professionisti, di cui uno in B. Bisognerebbe essere orgogliosi di questa narrazione ma la memoria della città è corta. E a volte l’indifferenza cede il posto addirittura a punte di aperta ostilità. Inconcepibile”.

Passiamo al presente. Il Sorrento domenica a Gavorrano per allungare la serie positiva. Tu che conosci la Lega pro, cosa troveremo in terra toscana?
“Sicuramente una squadra disposta a dare l’anima in campo. Cioffi ha incassato una fiducia a tempo e rischia la panchina. A meno che non si siano rotti certi equilibri, i suoi calciatori vorranno gettare il cuore oltre l’ostacolo per salvarlo. I minerari sono in crisi ma non c’è da fidarsi. Sono pur sempre un organico che può vantare elementi come Sirignano, Falomi o Nocciolini”.

Un giudizio sintetico sul Sorrento di mister Chiappino. Finora cosa ti ha impressionato positivamente?
“E’ una squadra che gioca al calcio, che ha un’idea chiara dei movimenti e degli schemi che deve attuare. Merito di un tecnico umile e che si sta rivelando anche un gran gestore del gruppo. Con lui tutti sono sulla graticola e, nello stesso tempo, hanno una motivazione in più per dare il massimo. Del Sorrento mi sta impressionando soprattutto la mentalità con cui i giocatori più quotati arrivati quest’estate si sono calati nella categoria. Tutti stanno dimostrando grande disponibilità e voglia di lottare per una causa comune. E’ un esempio di umiltà e professionalità da cui anche i giovani stanno ricavando beneficio. Quando questo mix riesce, si può ottenere qualsiasi risultato. Ma è la forza del gruppo la base di qualsiasi successo. Il Sorrento ha un gran spogliatoio, Chiappino ne sta facendo un piccolo capolavoro”.

Cosa manca a questo Sorrento?
“Ovviamente quel pizzico di furbizia necessario per gestire certe fasi del match. Ma sono i naturali intoppi di una squadra totalmente rinnovata. A volte bisogna imparare a leggere meglio le gare e a non ammorbidirsi. Con l’Arzanese, tenendo i ritmi un po’ più alti e non limitandosi a gestire il vantaggio, la partita poteva essere chiusa ben prima. Ad Aversa si è rischiato di riaprirla per questo motivo. Il Sorrento ha un buon tasso qualitativo ma non tale da potersi permettere di speculare su un risultato o di aspettare gli avversari. Tecnicamente, poi, manca all’appello un centrale mancino. Per le idee tattiche di Chiappino, che richiedono velocità nell’impostazione della manovra da parte dei difensori, è necessario come il pane”.

Quanto pesa al Sorrento la mancanza di un presidente alla Gambardella?
“Qui va fatto un discorso realistico. E’ vero che sono stati commessi degli errori di valutazione fatali in certi frangenti della sua avventura. O che la voglia di vincere subito si sia rivelato un boomerang e che, magari, sarebbe stato preferibile affidarsi ad un discorso progettuale. Ma Mario Gambardella resta un grande presidente, un generoso, uno che ha investito tante risorse nella società quando l’imprenditoria sorrentina preferiva fuggire dalle proprie responsabilità. Gambardella a un certo punto ha dovuto anche calarsi in una difficile convivenza con una componente importante societaria, spesso troppo pruriginosa nei suoi confronti. E si sa che le diarchie a lungo implodono. Negare tutto questo non sarebbe onesto intellettualmente. Qualcosa è stato sbagliato certamente, ma finita la sua epoca sono aumentati i problemi. Non è una casualità”.

Il futuro del calcio a Sorrento dipende dallo stadio. Convieni con questo “teorema”? O c’è anche altro da limare?
“Sono totalmente d’accordo e mi pare che qualche mio collega lo abbia già sottolineato. La disaffezione attuale della costiera verso le sorti della squadra del proprio territorio è la conseguenza di una percezione generale che vede il prodotto calcio in città come un fenomeno fallimentare. Uno stadio a norma, con una capacità prospettica di ospitare anche gare di B, creerebbe un rinnovato entusiasmo e attirerebbe pure potenziali investitori. Parlo con tanti addetti ai lavori, anche estranei al nostro ambiente, e tutti mi dicono la stessa cosa. Molti hanno voglia di fare calcio a Sorrento a determinate condizioni. Per non parlare del potenziale bacino di utenza di un turismo sportivo che non farebbe altro che accrescere la nostra economia. Ma c’è troppa miopia nella politica cittadina, che forse non ama del tutto Sorrento se permette che sulla questione stadio la città diventi motivo di scherno in Italia ma anche per tanti turisti che scoprono ignari questo scempio. E poi ascolto troppe lamentele che non portano a nulla. Non è più né il momento di piangersi addosso, né di credere alle false promesse. E certe bugie le ho ascoltate anche di persona. Ora è tempo di organizzarsi fattivamente, di riprendere in mano il proprio destino. Occorre ricostituire un Comitato campo Italia, metterci la faccia, agire. Con metodi democratici ma forti. Perché la politica non ti regala mai nulla se non alzi la voce. Questo, temo, in molti ancora non l’hanno capito. Il futuro del calcio a Sorrento passa innanzitutto per una ripresa del proprio diritto di cittadinanza. Ora è impossibile fare previsioni ma lo scenario non induce all’ottimismo. Il calcio a Sorrento rischia di sprofondare nuovamente in basso. Ma, se così deve succedere, devono volerlo i sorrentini, non certo degli amministratori che si arrogano il diritto di decidere su tutto e per tutti approfittando delle inerzie altrui. Non funziona più così”.

Essere giornalisti a Sorrento. E’ una domanda che rivolgo a tutti: quanto è difficile? Sempre se è difficile…
“Se parliamo di giornalismo sportivo, non è affatto difficile, almeno per me. Il Sorrento purtroppo appassiona pochi intimi e questo fa sì che le componenti principali, tifo e stampa, siano coese e complici in un meccanismo di grande familiarità e rispetto anche quando le opinioni possono divergere o quando si è costretti a fare considerazione scomode. Questo anche per via della civiltà che ci caratterizza. Sull’aspetto strutturale del campo, invece, meglio stendere un velo pietoso. Perché è una faccenda che mortifica la professionalità nostra e, mi permetto di dire, persino dei nostri calciatori”.

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