SERVIZIO A CURA DI MAURIZIO LONGHI. Lo immaginiamo giovanissimo, poco più che ventenne, mentre approdava a Sorrento per mettersi al servizio della società. Ruolo: responsabile della comunicazione. Salvatore Nardi, nativo di Napoli, ha lavorato per due anni in costiera, dal 2006 al 2008, ai tempi del duo Giglio-Castellano. Due anni di slanci, speranze, sogni, ambizioni. Due anni tra una promozione e una nuova dimensione. C’è un cordone ombelicale che lega la terra di Partenope a quella che, per eccellenza, è conosciuta in tutto il mondo per essere la dimora perfetta delle Sirene. Perché le vere bellezze marine si fermano dove il mare luccica. Chi nasce a Napoli, quando mette piede a Sorrento prova la stessa sensazione di una persona che incontra la propria anima gemella, quella di ritrovarsi di fronte a qualcosa di propria appartenenza, lo si capisce dal grido silenzioso che deflagra nel profondo del cuore. Purtroppo è il calcio a Sorrento che, attualmente, non sorride, sono due anni che si collezionano amarezze con i tifosi che non ne possono più.

Con Salvatore Nardi, che ha seguito le due partite contro l’Arzanese, iniziamo a parlare delle cause che hanno portato alla retrocessione di una squadra che, nel giro di una settimana, è passata dal prestare il fianco al fare sconquassi. Il risultato finale è stato negativo: “Quest’anno non avevo mai avuto il piacere di vedere il Sorrento all’opera, purtroppo, gli impegni da team manager della Cavese me lo impedivano ma, a campionato finito, ho avuto la possibilità di vedere gli spareggi del Sorrento. Sinceramente, ci avrei rinunciato volentieri perché significava che i rossoneri si erano salvati direttamente ma, purtroppo, non è stato così. Commentando le due partite contro l’Arzanese, be’ all’andata ho avuto una bruttissima impressione della squadra costiera, mancava l’intensità, la testa, il mordente. È vero che gli episodi sono stati tutti sfavorevoli orientando le sorti della partita, ma sono del parere che quando hai davvero fame, anche in otto uomini puoi restare vivo. Mentre a Frattamaggiore, il Sorrento ha dato la sensazione di non essere proprio in vita. Probabilmente non si pensava di incontrare tutte queste difficoltà, ma l’Arzanese era il cliente più ostico una squadra che, nel mercato di gennaio, ha cambiato volto acquistando giocatori di spessore. Per quanto riguarda la gara di ritorno, si è visto un Sorrento diverso, votato all’attacco ma con criterio, ha fatto la partita che doveva fare, attaccare subito e sbloccarla quanto prima. Due giocatori mi sono piaciuti particolarmente: Giancarlo Improta che, personalmente, avrei schierato anche all’andata, si vedeva che scalpitava per giocare e fare bene. L’altro è Maiorino, uno di categoria superiore e capace di fare la differenza. Per come sono andate le due partite, il Sorrento ha molto da recriminare, ma dovrebbe farlo anche per non aver racimolato quei punti necessari per evitare la mannaia degli spareggi”. Domenica scorsa, a fine partita, ci si chiedeva come mai i rossoneri avessero esaurito le batterie proprio nel momento in cui bisognava dare il colpo di grazia ad un’Arzanese in panne. Affrontiamo lo stesso quesito con il nostro interlocutore: “Merita applausi il portiere avversario, peraltro prodotto del vivaio del Sorrento. Fiory è stato il migliore in campo pur avendo incassato tre reti. Complessivamente, l’Arzanese non ha interpretato benissimo la partita di ritorno, è scesa in campo con il freno a mano tirato pensando di gestire il vantaggio. Penso che mister Marra abbia impostato la partita per valorizzare le capacità di Mangiacasale e Umberto Improta nelle ripartenze. Ma, nella prima frazione, i biancocelesti si sono risparmiati troppo, erano contratti, probabilmente non si aspettavano neanche un Sorrento così rabbioso e veemente. I rossoneri, dal canto loro, hanno sprecato tutte le energie in un solo tempo, nella ripresa un po’ di lucidità è venuta a mancare, l’Arzanese ha provato a prendere le misure e non si è trovato più il modo per scardinarne la difesa. Il calcio è così, quando ti ritrovi a rincorrere, nel momento decisivo, subentra la frenesia di vedere il traguardo vicino con conseguenze a livello mentale. Perché, nonostante le tante energie spese nel primo tempo, tra i giocatori del Sorrento c’è stato più un blocco psicologico che un calo fisico”.

Ad uno che ha vissuto in prima persona una fase dell’epopea rossonera, deve aver destato un bruttissimo effetto l’impatto con un contesto tiepido e disilluso: “Ho percepito tanto malcontento tra i tifosi, tanta delusione per questa deriva. Ripensavo agli anni in cui c’ero io ed eravamo davvero una grande famiglia, quello è stato il segreto per fare bene e per ottenere successi. In un certo senso, è difficile che nel calcio ci sia armonia tra tutte le componenti perché c’è sempre una frangia di tifosi contraria ma, nel nostro caso, tutto funzionava alla perfezione. La compattezza ambientale è alla base della crescita di una società. Ecco, al Sorrento auguro questo per il futuro., lavorare in un contesto sereno, come è stato fatto negli anni passati, e con un progetto serio e credibile. E, dirò di più, non servono solo tanti investimenti ma bisogna credere in una pianificazione, abbiamo tanti esempi di spese faraoniche e di poca chiarezza alla base. Inoltre, un altro elemento su cui il Sorrento potrebbe costruire la sua rinascita è il settore giovanile, un tempo fiore all’occhiello della società, mentre adesso non sforna più i talenti di prima. Per una società è importante avere un vivaio florido, può rivelarsi una grande fonte di sostentamento per visibilità e plusvalenze. Potrei fare un elenco infinito di giocatori che sono partiti dalla costiera: dai portieri Fiory e Mirante passando per Gallo, Di Leva, Armellino, Cini Noya, che giocava insieme ad Immobile e, su quest’ultimo, potremmo scrivere un capitolo. Ero convinto che sarebbe arrivato lontano, e non mi sentivo neanche di escludere un Mondiale, al talento innato ha aggiunto una grande professionalità. Su di lui e su Insigne si sono scritti i soliti luoghi comuni sulla loro natura di scugnizzi, invece, entrambi hanno una maturità esemplare non è un caso che, nonostante la giovanissima età, siano entrambi padri di famiglia”. Per Salvatore Nardi, i due anni a Sorrento sono stati anche un trampolino di lancio perché poi ha lavorato per quattro stagioni con il Napoli in qualità di osservatore del settore giovanile. Quando gli chiediamo di raccontarci il suo soggiorno costiero, si apre a tutto tondo lasciandosi andare a ringraziamenti e ricordi di grandi emozioni: “E’ stata la mia prima esperienza da professionista. Mi hanno dato la possibilità di crescere e di affermarmi in questo mondo. Sono stati due anni stupendi, di vittorie e di ricordi indimenticabili. Sarò sempre riconoscente ai due presidenti, Giglio e Castellano che hanno creduto in me. In una compagine societaria, anche l’Ufficio Stampa è importante, non si vincono lì le partite ma, qualche punto, arriva anche dal lavoro di comunicazione. Ricordo con affetto il collega Michele Mauro, con cui collaboravo a stretto contatto, come dimenticare poi il segretario Franco Imperato, quando penso a Sorrento, mi viene subito lui in mente. Vederlo con il broncio domenica mi ha fatto un certo effetto, del resto è da anni che svolge le sue mansioni in società, tante persone sono passate, ma lui è rimasto sempre fisso al suo posto. Per quanto riguarda i giocatori, ce ne sono così tanti che sarebbe una impresa citarli tutti, continuo ad avere rapporti con molti di loro, chi gioca ancora e chi ha intrapreso altre strade sempre nel mondo del calcio, penso a Rastelli, Ruotolo, Gautieri per poi passare a Ripa, Maiorano, Sibilli, Pezzella, Iorio, Giulio Russo. Sorrento, comunque, era una delle società migliori in Campania, andavamo a vincere ovunque. E ci tengo a raccontare anche alcune partite le cui emozioni sono ancora impresse nella mia memoria: come quella di Potenza al mio primo anno, lì mettemmo in cassaforte la vittoria del campionato, andando ad imporci sul campo di una squadra con cui, insieme anche al Benevento, ci eravamo contesi il primato. Mentre nel secondo anno, la vittoria più bella è stata quella di Arezzo alla prima di campionato. Eravamo una neopromossa e il guizzo di Fragiello ci permise di sbancare il campo di un’avversaria blasonata che, in difesa, presentava un certo Ranocchia”.

Quello era un Sorrento in rampa di lancio, ammantato di rispetto e autorevolezza. Non dev’essere stato male per lui partecipare alla promozione in C1, e ad un campionato in cui si capì di poter andare all’assalto della cadetteria. Ora ci si ritrova a parlare di un Sorrento naufragato nei bassifondi del dilettantismo con un tecnico come Simonelli che, ironia della sorte, era stato chiamato prima per portare la squadra in B e, quest’anno, per non farla sprofondare in quarta serie. Proprio la mancata vittoria del campionato di tre anni fa ha provocato la frattura tra il professore e i sorrentini, mentre quest’anno l’epilogo è stato ancora più funesto. Proprio, al termine della gara di ritorno con l’Arzanese, Simonelli ha individuato nell’assenza di compattezza ambientale una delle cause di un percorso sempre in salita: “Preferisco non entrare nel merito del suo lavoro perché mi mancano gli elementi per valutarlo, ma la compattezza ambientale bisogna anche sapersela guadagnare. Come la si guadagna? Con il dialogo con i tifosi, dalla mia esperienza ho capito che ciò che il pubblico imputa ad una società, più che i risultati, è l’incapacità di renderli partecipi. Una tifoseria vuole conoscere come vanno le cose, il perché si adottano delle decisioni, faccio un esempio: è normale che il pubblico sia contrario ad alcune cessioni e a dei mancati investimenti ma, qualora ci sia qualcuno in grado di spiegare le ragioni ai tifosi assicurando sempre impegno e professionalità, allora i rapporti possono restare improntati a stima e fiducia. Ma quando i tifosi si sentono estranei, allora il clima non può che farsi teso e distruttivo”.

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