In un Paese normale, in un’azienda normale o in una «piazza» normale, chi ha assunto ruoli realmente esecutivi, operando effettive scelte decisionali e conseguendo risultati «fallimentari» per due stagioni consecutive, non starebbe “scimmiottando” sui giornali dichiarazioni al limite della farneticazione, né si sognerebbe di avanzare pretese di alcun genere. Avrebbe, invece, già assunto la consapevolezza degli errori commessi, cercando quanto meno di interrogarsi sul proprio ruolo. Magari, traendone anche le relative conseguenze.

Questo succede dappertutto. Ma non a Sorrento. Qui la «civiltà» della piazza, di cui i sorrentini vanno orgogliosi, viene equivocata, forse in malafede, come una sorta di «lasciapassare» per agire indisturbatamente, commettendo, il più delle volte, scelte di dubbia opportunità. Scelte che, almeno nell’ultimo biennio, si sono rivelate nefaste per la «vita» del club rossonero. Club rossonero che – non scordiamolo – porta il nome della nostra terra, e della quale dovrebbe esserne degno rappresentante.

Malgrado la doppia retrocessione, dalla Prima divisione alla serie D, e una esposizione (in gran parte ereditata dalla gestione precedente, di cui comunque l’attuale proprietario figurava come amministratore delegato) con cifre a sei zero, c’è chi ancora avanza pretese quanto meno azzardate. Eppure, sui social network, circola con insistenza, proprio in queste ore, un video di Youtube che riprende un passaggio della conferenza stampa del “dopo-Castellano”, quando cioè Diodato Scala rassicurò sindaco e tifosi: “In caso di disimpegno della famiglia Gambardella – questa in sintesi la dichiarazione -, le quote torneranno a Tonino Castellano”. Dichiarazione consacrata da Gambardella junior: “E’ un accordo tra galantuomini che andava fatto”. Sappiamo tutti, invece, com’è finita, con un passaggio di quote dalla Gambardella Srl all’avvocato D’Angelo per la quota simbolica di 1000 euro.

Mille euro per 97% di quote nominali. Mille euro per “cedere” una società presa in Prima divisione, che vantava un vivaio assai fiorente (Immobile e Mirante vi dicono qualcosa?), che aveva già un’iscrizione garantita dall’ex presidente Giglio, che godeva di un parco giocatori all’altezza (Ripa, Maiorano, Vanin… continuano a dirvi qualcosa?) . Una società che aveva anche crediti da riscuotere, come il minutaggio dei giovani dell’anno Provenza-Morgia o un contributo elargito dall’amministrazione comunale di Sorrento per alcune spese sostenute per l’adeguamento del campo Italia. Una società sana, così come dichiarato pubblicamente anche dal dottor Fogliamanzillo, commercialista della società, nel corso della presentazione della squadra al parco Ibsen, nel primo anno dell’era post-Castellano.

E oggi? Cosa rimane di quel circuito virtuoso? C’è un titolo sportivo di serie D. Un vivaio da rifondare. Una squadra da rivoluzionare. Un’esposizione con l’Erario a sei zeri. Stipendi da pagare. Piccoli fornitori che lamentano ritardi nella liquidazione delle spettanze.

Oggi, il Sorrento non ha un costo. Oggi, il Sorrento non è una vacca da mungere o una possibilità di scimmiottare frasi sconnesse sui giornali. Oggi, il Sorrento è un onere. Un onere per chi si sentirà REALMENTE ONORATO DI GUIDARLO.

Commenti

commenti