SERVIZIO DI STEFANO SICA. Per un napoletano la seduzione della Penisola è spesso fatale. Quando poi quest’afflato coinvolge chi ha scritto pagine memorabili di storia rossonera, è persino un onore. Con Pietro Costantino, pilastro di un Sorrento d’altri tempi, partenopeo di Soccavo ma con dimora fissa in Costiera, la conversazione scorre via piacevole tra un caffè e un altro. E diventa anche divertente quando, dopo un po’, fa capolino Salvatore, il figliolo, atleta del Sorrento FootGolf. Gli inizi nel 1968, col Sorrento appena promosso dalla Promozione alla D, allenatore Gennaro Rambone. L’ultima stagione targata 1972/73, con un’anonima metà classifica in C, la prima annata che seguiva i fasti della B. E allora apriamolo questo libro di ricordi. Tanti. Alcuni suggestivi e gustosi, altri troppo privati per essere rivelati. Napoli-Sorrento 0-1, la presa del San Paolo, la pregiata gioielleria rossonera che in una calda sera di agosto del 1971 sfoggia il diamante più bello della propria produzione. Orgogliosamente.

L’inizio è d’obbligo.
“Capita spesso quando gli stimoli sono diversi – il suo esordio -. Il Napoli forse pensava di avere vita facile, noi volevamo ben figurare davanti ad un palcoscenico di quel prestigio. A quel punto il gioco è fatto. A loro mancava solo Juliano. Fu una serata indimenticabile”.

Quella notte poteva rappresentare l’inizio di una stagione trionfale in B, poi finì come tutti sappiamo.
“Nel girone d’andata facemmo malissimo. Poi arrivarono diversi giocatori che ci diedero una marcia in più. Facemmo gli stessi punti della Ternana. Loro andarono in A, a noi, purtroppo, non bastò. Ma ci sarebbe da dire anche altro”.

Prego.
“Perdemmo il legame con la città. Oltre a disputare le gare interne al San Paolo, ci allenavamo al campo di Barra durante la settimana. A Napoli naturalmente il gruppo tendeva a frazionarsi, magari a Sorrento sarebbe stato diverso. Anche al San Paolo gli spettatori erano pochi, il fattore campo non si sentiva”.

Tatticamente, oggi, come sarebbe definibile Pietro Costantino?
“Il classico rifinitore. Ero una mezz’ala, mi è sempre piaciuto più far segnare i compagni che andare in gol. Con Bozza e Scarpa era un piacere”.

Mezz’ala e capitano.
“Il capitano in verità era Lorenzini. Io ero il suo vice. Ma il rimpianto è un altro”.

Ci dica.
“Avevo svolto tutta la trafila nelle giovanili del Napoli, arrivando fino alla formazione Riserve. Forse avrei meritato miglior fortuna, ma non lo dico per presunzione. Giocavo con tanti campioni, potevo dire la mia, poi purtroppo andò diversamente. Ma ho saputo guardare lontano”.

Cioè?
“Già quando giocavo, capivo che il calcio non mi avrebbe garantito solidità per tutta la vita. Quando mi offrirono un lavoro sicuro non rifiutai, anzi. E l’ho portato avanti fino alla pensione. Altri hanno ragionato diversamente, e magari non se la sono passata bene”.

Del resto lei continua anche oggi a correre e giocare. E magari a divertirsi.
“Sì, partecipo al Torneo Veterani col Prater Club. Giochiamo ogni sabato e il nostro impianto è il campo Mellino dei Camaldoli”.

E come va?
“Tanti hanno voglia di segnare, giocano quasi per quello. Per me vale sempre lo stesso discorso. Mi soddisfa di più mandare in rete i compagni. Di recente ho fatto gol su rigore, io avrei lasciato la battuta anche ad altri…”.

L’allenatore che più porta nel cuore nella sua militanza da calciatore.
“Da un punto di vista umano, Franco Villa. Un vero amico. Tatticamente Vitali era un maestro. Rambone era il top sotto il profilo della preparazione atletica. I suoi metodi erano perfetti”.

Con quali suoi ex compagni si sente ogni tanto?
“Mi capita di vedere Silvestri, Borchiellini e Bozza. Ho letto che potrebbe venire Scarpa, un piacere enorme. Non avevo più notizie di lui”.

Il Costantino tifoso.
“Del Napoli. Sul Sorrento che dire, spero di cuore che si salvi”.

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