di Salvatore Dare*

Da una parte ci sono le promesse dell’estate. Tante. Per la verità anche belle, che potrebbero pure colpire. Dall’altra, invece, spuntano i fatti. Chiari. Incontestabili. Che almeno per ora vanno a dipingere un quadro della situazione tutt’altro che incoraggiante rispetto a quello messo a punto da chi è partito col vento in poppa essendo comunque consapevole che resta ancora un bel po’ di fuoco sotto la cenere. Bisogna evitare di scottarsi e quindi il mandato è per i pompieri. Una mossa da fare al meglio prima che arrivino le fiamme. Ma servono pochi istanti per capire che qualcosa non torna per davvero.

Si sa, l’immagine è (quasi) tutto. La comunicazione anche. Soprattutto quando si è “ospiti” in casa altrui, quando si dice di voler rilevare delle quote ma si prendono in fitto (verbale e al momento gratuito visto che non è stato versato neppure un euro per il passaggio di consegne). Soprattutto quando si parla di Sorrento, quella città che appena qualche mese fa Trivago.it – il portale che compara i prezzi degli hotel alla qualità dei servizi – ha incoronato come la capitale del turismo internazionale perché detiene la miglior reputazione sul web del mondo. Lo sapessero tutti. Pochi istanti per collegarsi sul sito internet ufficiale del Sorrento che, in primo piano in home page, appare la nota stampa che annuncia l’apertura della prevendita per i biglietti. Non per la sfida di domenica contro il Rende, in casa, al campo Italia come farebbero tutte le società di questo mondo alla vigilia dell’esordio casalingo stagionale. Ma per la “maledetta” riffa playout con l’Arzanese.

Quella disfatta che ancora brucia in fondo al cuore e che ha portato il Sorrento a navigare in acque peggiori di quelle di prima. E non solo per la categoria inferiore, dalla ex C2 ai dilettanti. Il segnale è piccolo quanto evidente. Chi c’è oggi non è riuscito a cancellare ciò che è avvenuto ieri. A ciò aggiungiamoci che nessuno si è ancora impegnato per mettere su una campagna abbonamenti degna di tal nome e il gioco è fatto. E’ il risultato di fritto misto che bisogna sorbirsi tra dirigenti del vecchio Sorrento proprietari delle quote (l’amministratore unico Francesco D’Angelo e il direttore generale Diodato Scala), direttori sportivi in pectore, procuratori aggiunti (ma non della Repubblica, quelli lavorano nelle aule di tribunale) e un imprenditore che intende dar vita a una fondazione e che rappresenta uno scudo da innalzare per la nuova equipe quando iniziano a parlare gli oppositori.

Un’insalata russa di cariche con presidenti, vice e sottotenenti (sempre verbali) che non collima con il senso della verità né con gli organigrammi ufficiali depositati in Lega al momento dell’iscrizione (un’iscrizione garantita in parte dalla proprietà e non dagli acquirenti, cioè da D’Angelo e non dal gruppo attualmente gestore sulla parola).

Non è cambiato niente. Il Sorrento è ancora di D’Angelo e Scala. L’impressione è che sarà così per molto. E quella che in estate sembrava una maxi cordata della provvidenza – tanto da far innalzare alla proprietà un muro al trio Giglio-Durante-Msc intenzionato a gestire il Sorrento che, così come gli attori di oggi, erano disposti a trovare un accordo economico (minimo, ma economico) per sancire la fine dell’era D’Angelo-Scala (era così difficile trovare un’intesa o non si è voluta trovarla? Tanto valeva dare il club a Giglio e compagnia) – resta invischiata nel turbine di uno scetticismo trascinato da anni che può far perdere amore verso una maglia che quando lottava in campo tra Agerola, Positano o Sala Consilina in Promozione o Eccellenza in ogni caso veniva sostenuta da quei (pochi) tifosi che facevano la spola tra i campi della provincia perché vedevano comunque un briciolo di senso d’appartenenza e chiarezza da chi all’epoca aveva l’onore e l’onere di guidare il Sorrento.

Negli anni Novanta, quando non c’erano i social network, quando non ci si inventava opinionisti d’assalto all’ultimo minuto se non si faceva prima una bella dose di marciapiede da camminare per raggranellare notizie, si sapeva bene che non c’erano possibilità economiche e strutturali per ambire al ritorno nei professionisti, la vera casa nostra. Allora lo accettammo, tutti. Quel Sorrento, povero e umile, dovrebbe essere l’esempio da seguire per quello di oggi. Che non è il mio Sorrento.

Non è il mio Sorrento perché una compagine determinata prima di tutto rileva le quote prima di parlare come unici rappresentanti di una società, mette a posto i titoli e i requisiti prima di uscire allo scoperto, perché gli elementi alla guida prima di autodefinirsi presidente, consigliere o vicepresidente fanno il proprio dovere. Ovvero dare prova di essere in grado di fare un’operazione economica. Attualmente si vive una situazione molto stramba, tipo come quella di un proprietario di un appartamento di Montecarlo zona porto che, a causa dei debiti, è demotivato, che da solo non riesce a ristrutturare la casa che quindi dà in fitto al primo inquilino straniero che dice di volerla rimettere a posto perché ne ha opportunità per acquistarla ma che alla fine, al di là di tutto, si fa dare le chiavi solo per entrarci e dormire. Un po’ come sta avvenendo adesso. Forse pesa in questo momento l’assenza di uno sponsor del calibro di Msc che ha tirato fuori negli anni fior fior di milioni di euro e che invece ha (giustamente) deciso di farsi da parte perché non vede un briciolo di comprensibilità nella casba societaria e perché ha avvertito che il proprio brand era un’attrazione per fare calcio a Sorrento invece di essere valutato come valido supporto per un progetto di rilancio.

Forse pesa pure non poter usare le risorse dell’affare Immobile, destinate alle casse dei veri proprietari del Sorrento che le possono usare per ripianare i debiti pregressi già rateizzati con l’Erario e con i fornitori. Chissà. Fatto sta che i segnali, al di là degli impacci resi evidenti dal campo con i primi ko tra coppa Italia e campionato, sono figli di questa situazione. Si dovrebbe sapere bene che una squadra di calcio è una spugna. Assorbe tutto dell’ambiente in cui vive e respira. Il Sorrento non è andato in B perché nonostante gli errori tecnici, le sostituzioni sbagliate da Simonelli, Sarri e Ruotolo e i gol mancati, si è sempre annusato il terrore che l’ex patron Mario Gambardella potesse lasciare da un momento all’altro la città con il cerino in mano.

Un’incertezza continua che ha fatto salire l’asticella dell’assillo, facendo venire l’ansia da prestazioni a calciatori e allenatori inghiottiti dai vortici umorali di una piazza che, in fondo, avrebbe firmato dal notaio un impegno morale per restare in C per qualche altro anno invece di sfiorare i cadetti e sprofondare nell’inferno con debiti lasciati ai successori. Sta più o meno avvenendo lo stesso adesso quando, sapendo che le premesse non sono ancora quelle giuste, ci si sforza di stare appresso alle rassicurazioni che non rassicurano, che nascondono comunque disagio.

Excusatio non petita, accusatio manifesta per dirla in latino. Scusa non richiesta, accusa manifesta per dirla in italiano. Giustificarsi prima quando nessuno ha chiesto scuse (ma solo risposte) significa ammettere tra le righe che qualcosa davvero non va. Ricordiamo tutti quando si disse, tre anni fa, che l’arrivo di Sarri coincideva con un progetto biennale. Un ritornello rimarcato un giorno sì e l’altro pure ma che non ha mai nascosto l’imbarazzo di un Sorrento il cui futuro era tremendamente appeso solo ed esclusivamente alla promozione in B. E da cogliere nel giro di una stagione altrimenti sarebbe stata la fine. Che puntualmente è arrivata. Alla faccia delle garanzie. D’altronde, anche quest’estate è passata in rassegna per la mancanza di operatività di una dirigenza che ha dovuto correre ai ripari negli ultimi giorni per fare la squadra e spedire in ritiro (?) a Massa Lubrense una banda di ragazzini permettendo comunque a qualcuno dei componenti del club di farsi le vacanze in giro per il Mediterraneo.

Un impegno gravoso tra una gita in barca, un drink ghiacciato, una notte divertente in discoteca. Ma d’altronde i colpevoli sono anche gli operatori dell’informazione rimasti al fianco del Sorrento, che cercano di nascondere (eccetto qualche voce più determinata) gli impacci che sono tutti quelli di un club che ha mandato in trasferta i propri tesserati con le auto private, tipo le comitive avvistate in piazza Tasso a tre ore dall’inizio della partita (è avvenuto nell’esordio in coppa Italia contro la Sarnese) o moduli di tesseramento firmati poche ore prima grazie all’apporto di chi, come il segretario-bandiera Francesco Imperato, ha il sangue rossonero che bolle nelle vene ma che secondo qualcuno, che forse dovrebbe prima studiare la storia del Sorrento, può anche non servire in un momento del genere (ma poi, scusate, prima di dire che quello o quest’altro dipendente è da premiare o meno non si acquista l’azienda? I datori di lavoro sono quelli che firmano le buste paga).

Si è arrivati addirittura al punto che, di rimbalzo, si tenta di dimostrare sui blog che va tutto bene limitandosi a postare online le foto del pullman che ha portato la squadra in trasferta a Marcianise. Ciò che ci potrebbe rassicurare per davvero è la quadra, l’uscita dalle nubi. Fiduciosi e silenti i dirigenti di ieri, quelli che dodici mesi fa hanno messo a disposizione le fidejussioni per iscrivere il Sorrento al passato campionato e che sperano che tutto proceda per il meglio anche nel pagamento delle spettanze pena l’incasso, da parte della Lega, delle polizze economiche con i soldi piazzati a garanzia pronti a essere ingoiati dalle casse della Figc. Il silenzio (comprensibile) è forse dettato dalla volontà di non intaccare l’operato di chi, se dovesse sbagliare, potrebbe procurare problemi al portafoglio (leggasi fidejussione). Ma se avessi messo soldi per tenere in vita il Sorrento, anche a tutela del mio impegno economico, chiederei spiegazioni.

Capitolo Dionisio. E’ un direttore sportivo che ha lavorato in grandi piazze, sa come vanno le cose. Si è messo in discussione con entusiasmo a Sorrento ma le sue competenze, di certo, per ora, passano il rischio di essere compromesse. In tutto ciò, chi ne guadagna è anche l’amministrazione. Non c’è pressione per rifare il campo Italia (un impegno preso in campagna elettorale) e ufficialmente ha risolto il problema Sorrento affidandolo a una cordata che ha dichiarato di avere le carte in regola. L’amministrazione, da impegni morali, doveva trovare un’alternativa e ha benedetto la pista trovata da D’Angelo che l’ha preferita al gruppo Giglio. Ora, se ci sono impacci, mica la colpa è della politica? Se i tifosi sono perplessi è per un solo motivo: hanno il palato buono, sanno cosa vuol dire fare calcio, sanno che il Sorrento è un’altra cosa. Essere perplessi vuol dire essere competenti. Non è il mio Sorrento, per adesso.

*Giornalista di Metropolis, tifoso del Sorrento

ps: Scrivo semplicemente da tifoso del Sorrento che si è innamorato del Sorrento quando giocava in Promozione, cresciuto con un Sorrento che lottava tra i dilettanti e che da giornalista ha avuto il privilegio unico di raccontare il suo Sorrento che quando sbarcava a Perugia, Verona o Pescara veniva rispettato e temuto, non perché era forte ma perché veniva visto come una società piccola ma grande. Al di là del risultato. L’augurio è che il Sorrento di oggi superi i problemi e torni ad avere il rossonero tatuato addosso. Il primo a rimangiarsi queste amarezze sarà il sottoscritto. Forza Sorrento!

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