SERVIZIO DI STEFANO SICA

Aveva sognato un epilogo diverso per sè e per il Sorrento. Consapevole di essere sbarcato in costiera per contaminare il proprio riscatto personale con quello di una squadra e di un ambiente sempre più in crisi. La sua avventura è durata invece appena quattro mesi e mezzo dal giorno del suo arrivo ad inizio dicembre. Epurato dalla società, o da quello che ne restava, prima del match col Torrecuso ad aprile. Senza spiegazioni e senza rispetto della sua professionalità. Per Nunzio Majella, adesso, è il momento del redde rationem. “Fu il team manager Palmieri ad avvisarmi, all’improvviso: non avrei dovuto più presentarmi al campo – rivela il bomber di Pianura a TuttoSorrento -. Dionisio e Marino neanche si degnarono di dirmelo: mi fecero presente che questa decisione non era di loro competenza bensì del presidente”.

La vicenda parte da lontano ed occorre spiegarla dalle origini…
“I fatti iniziano da quando mister Cioffi decide di andare via dopo essersi reso conto, evidentemente, di come stessero le cose. Dal suo successore, Pirone, ebbi una bella stretta di mano. Mi disse che provava piacere ad allenarmi. Parlai con lui di tutto ciò che stava succedendo a noi calciatori e mi rispose che lo spogliatoio era sacro. Eppure, coincidenza, l’avviso di sfratto dal team manager lo ebbi la sera stessa. Dopo tante chiamate al presidente, seguite da alcuni sms, mi veniva riferito da Dionisio che sarei stato contattato a breve proprio da Genovese per un confronto. Chiarii di essere disposto ad incontrarlo di persona. Nel frattempo Dionisio mi disse che avrei dovuto usare la “gentilezza” di non presentarmi al campo in quanto ritenuto un problema per il gruppo”.

Genovese alla fine lo hai sentito?
“Mai. Mi assicurarono che ci saremmo sentiti entro tre giorni. Siamo a metà luglio, ad oggi credo che siano abbondantemente passati…”.

Oggi verrebbe quasi da dirti “chi te l’ha fatto fare”…
“Io volevo solo giocare, contribuire alla salvezza del Sorrento e risollevare questi colori. Sono venuto a Sorrento conoscendo tutte le difficoltà esistenti. Dionisio mi fece ampie rassicurazioni davanti a mio padre portando avanti anche un’ampia opera di convincimento verso mio fratello. Alla fine ho percepito solo gli stipendi di gennaio e di febbraio quando c’era l’avvocato D’Angelo. Forse rappresentavo un problema per la società perché chiedevo semplicemente il soddisfacimento di quello che era un mio diritto. E con una famiglia e due figli mi sembrava un diritto essere pagato. Potrò aver giocato bene o male. Lo giudicheranno gli altri anche se alla fine ho fatto quattro gol. Ma meritavo rispetto umano e professionale. Non credo che sia questa la maniera di trattare i calciatori. Ma c’è qualcosa che mi ha fatto male più di tutte”.

Sentiamo.
“Non ho ricevuto neanche una telefonata, da nessuno. All’epoca mi fu promesso che gli stipendi sarebbero stati onorati, ma da quel momento non ho sentito neanche un esponente della società. E una semplice telefonata l’avrei apprezzata non solo per i soldi, ma soprattutto per capire il motivo per il quale sono stato fatto fuori. Vedendo dall’esterno quello che è successo, alla fine l’ho capito”.

Quali sono state le difficolà più insidiose che avete dovuto affrontare?
“Non avevamo un campo su cui allenarci. Un aspetto già anomalo di suo tanto da indurmi a chiedere a Genovese di risolvere celermente questo problema col ritorno a Sorrento. Tuttavia mancavano i beni essenziali per affrontare un normale campionato. Non c’erano gli oli per i massaggi e le stesse fasce per i bendaggi. A Peppe Rotondale mancava il minimo indispensabile per fare il proprio lavoro. Per non parlare delle difficoltà per il vestiario, tanto che abbiamo dovuto arrangiarci con le rimanenze degli anni precedenti”.

La sensazione diffusa è che la società non avesse poi tutta questa voglia di salvarsi. Difficoltà materiali a parte, non sei stato l’unico ad essere epurato.
“Vero, penso che la società non fosse così determinata nel voler mantenere la categoria. Anche la circostanza che un elemento importante come Noto sia stato mandato via prima dello spareggio play-out, è indicativo. Ma sono stati allontanati tanti giocatori importanti”.

Agli occhi di alcuni tifosi, pochissimi in verità, siete diventati in poco tempo un capro espiatorio comodo e facile.
“Questi tifosi si lamentavano e ci chiedevano perché non facessimo risultati. Ma quando si scende in campo bisogna farlo con animo sereno. Noi eravamo soli, in tutto e per tutto. Non avevamo una società che ci tutelasse, una dirigenza che ci stesse vicina, un presidente che fosse sempre presente. Non abbiamo mai vissuto una settimana tranquilla, c’era sempre qualche problematica pronta a presentarsi. Questo anche quando abbiamo vinto due partite consecutive con Leonfortese e Montalto”.

In questi giorni ti stai allenando con gli svincolati del Team Napoli Soccer a Pianura. A breve la partenza per il ritiro col Città di Castello, la tua nuova squadra. L’Umbria è nel tuo destino.
“E’ una mia seconda casa. Col Città di Castello abbraccio un progetto serio ed affidabile. Oggi la Campania offre poco, c’è crisi quasi ovunque. E da campano lo dico con rammarico”.

Un saluto ai sorrentini.
“Saluto i veri tifosi del Sorrento, quelli che hanno capito davvero le condizioni nelle quali ci siamo trovati a lavorare. Spero che si risolva ogni problema e che il calcio in città possa di nuovo rilanciarsi ritrovando serietà, stabilità e serenità. Una piazza del genere non merita tutte queste umiliazioni”.

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