Chi veste la maglia del Sorrento o decide di sposarne il progetto deve avere le “p….”. Sì, proprio le palle! Ci vogliono attributi grandi come un grattacielo a Manhattan per meritare questa maglia. Ci vogliono qualità enormi per combattere le precarietà delle strutture, per abituarsi alle stranezze del pettegolezzo o per comprendere “chi fa cosa” o “cosa fa chi” o “quanti vorrebbero fare cosa”. D’accordo: qui c’è il mare, c’è il sole, c’è il civettuolo passeggio sul Corso, c’è il divertimento notturno (sic!), c’è una storia di grandi imprese in piccoli contesti. Qui i tifosi non ti denudano, non ti impediscono di scendere in campo, non ti minacciano, al massimo si limitano a rumoreggiare dopo una sconfitta. E a volte vengono anche “ammoniti” oltremodo per aver solo espresso un malumore che, paragonato alle manifestazioni diversamente-civili che si apprezzano in altre realtà, rientra ampiamente nei limiti di una normale, fisiologica, sopportazione. Ma proprio in questo equilibrio sottilissimo, vissuto tra le difficoltà di impianti vetusti e l’opportunità di lavorare in un ambiente che infonde serenità e poche pressioni, chi veste quella maglia o ne sposa il progetto ha l’obbligo di trovare stimoli e motivazioni, gettare il cuore oltre l’ostacolo, badare poco a dove si allena, non fossilizzarsi sull’indecenza delle strutture, minimizzare sulle condizioni oscene di un campo da gioco, evitare le futile proteste arbitrali, gettare la palla oltre l’Ambasciatori a difesa del risultato, fare la voce grossa per puntare alla sostanza. Chi riuscirà a sminuire i dettagli, contribuendo a portare questo Sorrento verso gli obiettivi prefissati, sarà un professionista autentico, autore di una vera impresa. E avrà dimostrato di avere le palle! Avanti, Sorrento!

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