(SERVIZIO A CURA DI MAURIZIO LONGHI) Come il Pampa Sosa, ha sempre avuto i galloni del leader. È un questione di carisma, o ce l’hai o difficilmente lo svilupperai. Gaetano Fontana ce l’aveva, lui che è stato compagno di squadra di Sosa. L’argentino aveva visto la neonata Napoli Soccer emettere i primi vagiti, mentre Fontana, capitano storico dell’Ascoli e tra gli assoluti protagonisti della promozione in A della Fiorentina, arrivò sei mesi più tardi per rendere ancora più competitiva la squadra allenata da Ventura prima e Reja poi. Ormai entrambi sono ex giocatori e hanno coltivato quel carisma che li contraddistingueva sul rettangolo verde. Al quale non hanno rinunciato affatto, ma non lo calpestano più con gli scarpini e andandosi a collocare in una precisa zona di quel prato delimitato da linee bianche, lo attraversano per dirigersi sulla panchina. Magari, chissà quante volte l’abbiano fatto in tanti anni con la delusione di non essere in campo al fischio iniziale dell’arbitro e con il desiderio di entrare “a miracol mostrare”, stavolta lo fanno avendo realizzato il loro sogno di diventare allenatori.

Fontana, lo scorso anno, è stato, suo malgrado, al centro della vicenda che ha portato alla radiazione della Nocerina, un’esperienza forte, che l’ha segnato ma da cui può uscire più forte. Il Pampa Sosa, invece, inizia quest’anno da Sorrento, sperando che abbondino le vittorie e le soddisfazioni. Abbiamo contattato un suo ex compagno di squadra per farci conoscere meglio chi era Sosa negli spogliatoi in veste di calciatore: “Il Pampa era sicuramente un punto di riferimento importante, venne a Napoli dall’alto di un pedigree di spessore maturato in tanti anni di carriera. E poi tutti sapevano che si trattava di un giocatore di un’altra categoria e riusciva a determinare le partite grazie alle sue indubbie caratteristiche. E poi, oltre a portare le sue doti tecniche, ha messo la sua esperienza al servizio del gruppo e tutti ne abbiamo beneficiato”. Da alcuni aspetti si percepisce anche l’umanità di una persona: “Socializzava molto con tutto il gruppo, era parte integrante di un progetto ambizioso. Si captava il piglio del leader e il suo atteggiamento è sempre stato improntato all’umiltà, la sua esperienza, ripeto, la metteva a disposizione degli altri ma senza farla pesare. Personalmente, ho avuto la fortuna di conoscerlo già ad Ascoli dove non visse un periodo felicissimo ma seppe ritornare subito protagonista approdando a Messina e vincendo il campionato”. Capacità di socializzare, personalità da leader, tanta umiltà, le prerogative di cui è dotato l’attuale trainer rossonero, quelle che l’hanno aiutato anche a rilanciarsi dopo periodi non entusiasmanti. Ma come era il rapporto tra Sosa e Fontana? “Di grande collaborazione, anch’io avevo la mia età e, da professionisti nel settore, quando ci siamo ritrovati con la maglia del Napoli, ci siamo uniti per centrare l’obiettivo da raggiungere. Sapevamo di avere una responsabilità verso lo spogliatoio, chi ha esperienza non deve imporla ma lasciare che possa diventare un fattore d’arricchimento per tutti gli altri. Così si fa gruppo. In quella squadra c’erano altri elementi dal curriculum importante, penso ai vari Iezzo, Grava, anche loro, formati da un passato di tutto rispetto, fecero da chioccia agli altri componenti. Quel Napoli partecipava alla serie C ma non era di quella categoria, lo sapevamo e facemmo di tutto perché abbandonasse quel limbo consapevoli che, la sola tecnica, non ci avrebbe condotti in alto, per vincere servono altre qualità, come quelle emozionali”. Su questo tasto vogliamo fermare la nostra attenzione. Gaetano Fontana è uno per cui le emozioni hanno una incidenza preponderante quando si scende in campo. Lasciamo a lui la facoltà di spaziare a proprio piacimento su una questione di vitale importanza: “Di un giocatore, ciò che cambia di domenica in domenica, non è il proprio repertorio di qualità ma la sfera emotiva. Quando si è in campo subentrano tante variabili emotive che determinano la qualità della prestazione, ci si deve preparare ad affrontare un pubblico più caldo, una situazione di gara difficile che produce stress e ansia. Imparare a gestire le emozioni è fondamentale, per farlo c’è bisogno di un lavoro quotidiano, fare esercitazioni specifiche su ciò che potrà registrarsi nel corso della partita per imparare ad affrontare tutto senza lasciarsi dominare dalla situazione. Sono un cultore dell’allenamento emotivo, che deve integrare quello tecnico-tattico. Bisogna educare gli atleti a vincere le proprie paure, è legittimo che ci siano in quanto siamo tutti esseri umani. Per paure intendo l’ansia di una prestazione, il rapporto con il pubblico, con i propri compagni, con gli avversari, con l’arbitro. Il talento è importante, ma non basta se non si è sufficientemente allenati a livello emotivo. Anche un pallone può rivelare lo stato d’animo di un giocatore, mi basta un passaggio per capire se mi ritrovo di fronte uno convinto e sicuro o esitante e intimorito. L’esperienza mi ha insegnato che i campionati non li vince la squadra tecnicamente più forte ma quella più preparata emotivamente ad affrontare tutte le situazioni”. Che consiglio si sentirebbe di dare a Sosa che è alla sua prima esperienza alla guida di una squadra? “Ritengo che, in questi casi, non ci sia un consiglio standardizzato, ognuno ha un percorso individuale e soggettivo con una mentalità e delle idee da portare avanti. Dico questo anche perché, si parla tanto di esperienza, ma ciascuno ne ha una diversa alle spalle da cui ha appreso aspetti diversi. E poi, dipende sempre dal temperamento di una persona, c’è chi una situazione la vive in un modo e chi in un altro”. Il Pampa si trova a lavorare in un ambiente non proprio sereno, a Sorrento infuria una contestazione per una situazione in cui ogni slancio è stato eroso da due anni di dissennatezze e umiliazioni. I sorrentini non si sentono rassicurati, in questi casi cosa si può fare perché lo scetticismo non filtri nello spogliatoio? “In questo caso mi sento di poter dire qualcosa perché c’è un’attinenza con ciò che ho vissuto lo scorso anno a Nocera. Si venne a creare una situazione difficile, non sapevamo che fine avremmo fatto, regnava tanta incertezza. Trovare le motivazioni, in momenti simili, non è semplice ma è l’unica soluzione per non perdersi d’animo. Niente accade per caso, le avversità possono aiutare a crescere chi le sa affrontare nel modo giusto. Bisogna sempre guardarsi dentro e non perdere l’entusiasmo, e ciò che deve fare il Pampa nonostante si ritrovi a lavorare in un contesto non idilliaco. Il segreto è pensare positivo, è nelle difficoltà che bisogna trovare la strada giusta, è troppo semplice quando va tutto bene. Anzi, riuscire a conquistare la fiducia della gente e a ricompattare un ambiente disilluso è il risultato più grande che si possa ottenere”.

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