SERVIZIO A CURA DI MAURIZIO LONGHI. É un brasiliano napoletano, il suo nome è Faustino Jarbas, meglio conosciuto come Cané. Nato a Rio de Janeiro ma innamoratosi del Vesuvio, dove ha indossato la maglia azzurra giocando a grandi livelli. Da Rio a Napoli, dalla terra di Partenope a quella delle Sirene. Stagione ’84-85′, quel Sorrento, gestito dai fratelli Pollio, era stato costruito per vincere ma non riusciva a decollare con mister Tascone in panchina. Non si preferì aspettare e si decise di affidare la squadra alla cura di Cané che la rivitalizzò fino a condurla in C1. Una promozione strepitosa, ottenuta insieme alla corazzata Licata, allenata dal giovane Zdenek Zeman. Ma anche con il carioca preferiamo concentrarmi prima sul Sorrento attuale, alle prese con un rush finale di un campionato che lo vede all’inseguimento affannoso di una permanenza in Lega Pro.

canèGli chiediamo quanto può incidere nella testa dei giocatori, un passo falso contro una diretta concorrente per la salvezza: “Qualche ripercussione sicuramente può averla, ma la cura Simonelli, che è stato un mio allievo, finora ha dato i suoi risultati. Quest’annata è stata travagliata da diverse situazioni, tra cui il fatto di dover cambiare guida tecnica a campionato in corso. Credo che affidarsi a Simonelli sia stata una buona scelta anche perché è molto conosciuto da qualche carica dirigenziale, come Diodato Scala, con cui non mi sento da tempo ma a cui sono legato da una parentela acquisita visto che ha battezzato mia figlia. L’attuale tecnico rossonero ha la giusta sapienza per tirare fuori il Sorrento da questa situazione complicata, poi può sembrare che abbia un carattere indecifrabile, che si dia delle arie ma dipende dal suo temperamento introverso. Comunque lo conosco bene, abbiamo lavorato insieme a Frattamaggiore e ad Afragola, e non metto in dubbio la sua professionalità”. Passiamo al declino che sta vivendo il calcio a Sorrento quando negli ultimi anni si sognava di rinverdire i fasti di un passato glorioso: “Dopo le belle stagioni di qualche anno fa, quando si sognava il ritorno tra i cadetti dopo tanti anni da quell’unica apparizione durata il tempo di una sola stagione, c’è molto rammarico e ora non si conosce bene la direzione in cui si sta andando. Sono stati spesi molti soldi senza ottenere i risultati auspicati, ora c’è la sensazione di un’assenza di volontà di fare calcio in un posto in cui la vetustà delle strutture rende impossibile impostare progetti ambiziosi. Non si può fare calcio a certi livelli in un contesto così imbarazzante”.

Arriviamo a quel Sorrento. Quello di cui assunse i ponti di comando a campionato in corso, nella stagione ’84-’85. Le difficoltà non mancarono, ci furono tantissimi ostacoli, tutto si decise alla penultima giornata. I rossoneri crollarono sul campo del Canicattì, ma il Frosinone non ne approfittò perdendo contro la Frattese che poi retrocesse. Così si mantenne un punto di vantaggio sulla compagine ciociara che, all’ultima giornata, era ospite in Via Califano. Quello spareggio finì a reti bianche con il Sorrento che brindò alla promozione insieme alla capolista Licata. Con mister Cané vogliamo ricalcare quelle emozioni, ma non prima di un compendio dei suoi tre anni trascorsi in costiera: “Sono stati molto importanti. Al primo anno vincemmo il campionato, al secondo facemmo molto bene, poi non fu fatto niente per evitare un triste epilogo nella stagione successiva. Ricordo che i fratelli Pollio, pur avendo un’attività commerciale avulsa dal calcio, davano la possibilità di lavorare in serenità. C’era anche un grande dirigente come Cuomo, che aveva un carattere focoso, ma andammo sempre molto d’accordo. Al mio terzo anno a Sorrento, fui mandato via non per scarso rendimento, ma per alcune situazioni poco chiare, poi accettai di ritornare per rispettare il contratto anche se tutti sapevano come sarebbe andata a finire. Lo feci capire chiaramente che, in quella situazione, era inevitabile naufragare. C’è da dire, inoltre, che al mio terzo anno, subentrò un certo Colonnello Tronco, molto famoso in quegli anni per essere il responsabile di una caserma a Caserta, se non sbaglio ma di questo non sono sicuro. Si stravolse l’organico e si trovarono della manovre per mandarmi via, personalmente, in un’epoca in cui imperversavano le compravendite con molti dirigenti che intascavano denaro da operazioni poco chiare, sono fiero di non aver guadagnato nulla oltre il mio ingaggio. Sapevano che non avrei voluto vendere Ruotolo, ma lo cedettero all’Arezzo per una cifra monstre con qualcuno che si divise l’incasso”. Capitolo promozione, come maturò? “L’organico era ottimo, ma le cose non andavano bene e decisero di chiamare me. Ero libero per mia scelta, volevo prendermi una pausa di riflessione dopo cinque anni all’Afragolese. Accettai l’offerta del Sorrento motivato dalla sfida, mi tuffai subito al lavoro, tant’è che mi chiamavano il tedesco e non il brasiliano. Mi sono preso belle soddisfazioni, in Campania ho vinto cinque campionati ed era difficile farlo. In costiera si respirava un’aria sana, proprio un mese fa ho incontrato Balestrieri e abbiamo rievocato quei tempi. Lui era un centravanti brevilineo ma che vedeva bene la porta”.

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