SERVIZIO  A CURA DI MAURIZIO LONGHI.  È un fiume in piena, fa scorrere facilmente l’inarrestabile torrente dei ricordi con una lucidità impressionante. Ricorda anche i dettagli, non lesina stoccate e si crogiola rimembrando gli attimi di gloria. Carmine Tascone nella stagione ’83-’84 subentrò ad Antonio Giglio, verso il quale spende parole di stima (“non meritava di essere esonerato”) portando verve ed effervescenza alla squadra in una stagione di transizione. L’anno successivo si allestì un organico competitivo per i vertici della classifica onde puntare all’assalto della C1, ma fu esonerato dopo alcune giornate lasciando il posto a Canè che centrò la promozione. Fu Tascone ad individuare le pedine giuste per costruire una rosa di giocatori di spessore, ma a questo poi ci arriviamo.

Approfittiamo del confronto con un grande conoscitore di calcio per chiedergli anche del Sorrento attuale. E gli domandiamo quanto può pesare una sconfitta subita a Martina Franca, peraltro in uno scontro diretto, dopo un filotto di cinque risultati utili consecutivi: “Quando si vince si lavora sempre meglio, lo insegna il calcio, mentre quando si perde, specialmente in partite in cui la posta in palio è doppia, è naturale sentire una sorta di pesantezza. Ritengo comunque che mister Simonelli stia facendo un ottimo lavoro pur avendo trovare una situazione vergognosa. Perché dopo l’era Castellano, il calcio a Sorrento sembra arrivato al capolinea”. Ma questa squadra ha la possibilità di salvarsi considerando che, nonostante l’ultimo ko, è comunque in zona spareggi anche se con una classifica cortissima e con quattro finali da affrontare? “Sinceramente la vedo dura. Però a Sorrento mi sento a casa, ci vengo sempre molto volentieri non disdegnando belle mangiate. Proprio per il mio attaccamento a questa piazza, mi auguro di cuore che si riesca a mantenere la categoria, la vedo dura perché è una situazione molto complicata. Certo che poi l’impostazione dei campionati è uno scempio raccapricciante”. La riforma dei campionati di Lega Pro finisce nel mirino di Tascone: “La Federazione ha commesso degli errori vergognosi, ma ci rendiamo conto quello che si è creato con la nuova riforma? La serie C1, la terza categoria più prestigiosa del campionato italiano, è diventato un campionato falsato, senza agonismo, ma che ha combinato Macalli? In un campionato professionistico non si può lottare per la promozione con tante squadre costruite senza criterio per disputare stagioni anonime. Nel calcio tutto deve essere subordinato ai valori ma è un concetto che ormai si sta perdendo”. Fiducia cieca verso l’attuale nocchiero del Sorrento: “Simonelli è uno dei signori del calcio, ho un bellissimo rapporto con lui. Era un grande portiere da calciatore ma dà garanzie anche come allenatore, fui chiamato a sostituirlo ad Afragola, ma è uno che in queste categorie può fare la differenza e ho molta fiducia in lui”.

Anche se non fu lui a brindare alla promozione in C1 nella stagione ’84-’85, riuscì comunque a dare un buon contributo, non foss’altro per aver condotto la campagna acquisti come una sorta di manager all’inglese. Tuffiamoci in quegli anni attraverso la sua testimonianza: “Era una squadra eccezionale, costruita da me e quasi senza spendere soldi. Restai fedele alla legge Bosman e allestì una squadra capace di lottare per i vertici di un campionato molto competitivo. Portai Porrino dal Verona, Marletta dal Siena, Magliocca dalla Sampdoria, Amato dalla Reggina, Iannucci dal Messina, Apuzzo dalla Lazio, Marino dal Catania e ancora altri giocatori di una certa levatura. Quasi tutti venivano da categorie superiori e, inoltre, lanciai dei veri e proprio talenti come Ruotolo e Donnarumma. A Sorrento ero amato dalla gente, ma diventò difficile lavorare quando dei giocatori iniziarono a remarti contro”. Ci assale la curiosità. Non si può non andare a fondo e Tascone non si sottrae ad aprire il cassetto dei ricordi, in cui è riposto anche qualcosa di poco piacevole: “Penso alla partita persa contro la Paganese che fece precipitare le cose. Quella sconfitta fu la goccia che fece traboccare il vaso. E non ho paura di fare nomi, era Roberto Vichi a capeggiare quello sparuto gruppo di giocatori che ostracizzava il mio lavoro. Ma non erano solo alcuni giocatori ad auspicare che venissi defenestrato, ma anche qualche dirigente che sapeva tutto e che ha preferito nicchiare. Ricordo che il martedì, il ds Nello Russo mi venne a trovare a casa e con lui andai al campo a salutare la squadra, molti piangevano e non volevano assolutamente che andassi via. Ecco perché non era una cospirazione di tutta la squadra, ma solo di una fazione che faceva riferimento al giocatore di cui ho già fatto il nome e da cui partì il misfatto”. Dopo aver raccontato un qualcosa di poco edificante, ci facciamo dire il ricordo più bello che conserva di quell’anno: “Lo dico subito ed è legato alla partita in cui battemmo il Licata allenato da Zeman, era una squadra di un’altra categoria e, infatti, vinse il campionato. Ricordo che in quella settimana già c’erano degli spifferi, infuriava la contestazione, dalla Curva piovevano dei fischi. Che bello piegare in casa l’avversaria più accreditata alla vittoria del campionato, tanta gente voleva morire. Ecco perché ho sempre la coscienza pulita, di chi sa di aver lavorato bene, esultai facendo il giro del campo non avendo paura di quelli a cui non andavo a genio. Ma ormai si era creata una spaccatura e aspettarono una sconfitta per darmi il benservito”.

La strada di Tascone si è spesso incrociata con quella del Sorrento non solo con lui nelle vesti di allenatore. In diverse forme e con diverse mansioni, ma ha comunque reso servigi importanti, come ci spiega: “A Sorrento ritengo di aver fatto bene sia come allenatore che come collaboratore di mercato, Nando Scarpa, quello che viene definito il giocatore più forte della storia del calcio in costiera, lo portai io dal Potenza, portai anche Antonio Bellopede, Pino La Scala, Antonio Zito e Gennaro Ruotolo, entrambi ceduti per una grande cifra. Ecco ho fatto guadagnare anche parecchi soldi al Sorrento, di questo me ne hanno sempre dato atto e devo ammettere che ho anche guadagnato bene ma penso di averlo meritato lavorando con dedizione e professionalità. Mi viene alla mente un altro aneddoto bellissimo e molto gratificante per me, nella sede del Sorrento, l’allenatore era Todeschini, il dottor Torino mi indicò dicendo: “Questo qui l’avrei sempre voluto prendere come allenatore”. Mi inorgoglì quell’attestato di stima”. C’è anche il tempo per una impietosa constatazione: “Dopo la presidenza di Castellano, il calcio a Sorrento è finito. Con lui continuo a sentirmi adesso, è una persona eccezionale come lo è stata il dottor Torino e i fratelli Pollio. Sono figure che hanno scritto la storia del calcio in costiera, persone che hanno dato tanto e che non si sono affatto risparmiate. Il dottor Torino fu tra i primi ad introdurre la medicina nello sport, fu un innovatore e un precursore, mi dispiace che l’ultimo grande presidente sia stato Castellano e che dopo di lui tutto pare destinato a tramontare”. Ritorniamo un attimo a questo Sorrento che si sta giocando la permanenza tra i professionisti, cosa si sente di dire a quei tifosi che restano fermi sulla loro posizione di non sostenere la squadra non sentendosi rappresentati da tecnico e società? “I tifosi se vogliono bene al Sorrento, non devono pensare all’allenatore. Faccio un paragone con una squadra di serie A che è la Lazio. Anche nell’ambiente biancoceleste si respira un’aria di tensione con lo sciopero dei tifosi, ma questo ha precluso alla squadra di raggiungere l’Europa League traguardo, a mio avviso, raggiungibile qualora ritornasse la gente allo stadio. I tifosi devono andare a sostenere la loro squadra, poi pagano il biglietto e hanno tutto il diritto di protestare e fischiare, ma bisogna farlo a fine gara, prima bisogna pensare a sostenere chi scende in campo. Ripeto il concetto: Simonelli passa, ma come tutti gli allenatori, il Sorrento resta”.

Commenti

commenti