Qui dove in tribuna gocciola e tira forte il vento, su una vecchia gradinata si tifa ancora Sorrento.

Probabilmente la buonanima di Lucio Dalla l’avrebbe cantata proprio così, la sua «Caruso», se avesse seguito la partita contro il Melfi che ha portato il Sorrento a una manciata di metri dal (primo) traguardo dei playout per salvare il professionismo.

Sotto la pioggia, sciarpa rossonera al collo, sigaretta accesa fra le labbra, cappellino di lana d’ordinanza in testa, alla faccia della bufera.

Certo, la tribuna centrale del campo Italia non è (ancora) la terrazza della suite del tenore, perla più unica che rara dell’albergo-museo «Excelsior Vittoria» di piazza Tasso, ma da qui si scorge comunque il panorama mozzafiato delle onde che baciano il Vesuvio e che dominano la scena. Soprattutto di notte. Eppure, tutto rimarrà così.

Consummatum est. Tutto è finito. Lo disse Gesù in croce duemila anni fa prima di spirare e risorgere. Un copione tradizionale, immerso pure nella versione politically scorrect e un po’ scomoda di Nikos Kazantzakis che racconta di un Redentore più terreno, più uomo, intenzionato a dimettersi dal suo mandato perché non si sente all’altezza della situazione. Un peso che anche qui dovrebbe portare qualcuno a riflettere.

C’è di tutto in quel romanzo contestato a firma del celebre scrittore-filosofo greco che fu perseguitato dalla Curia. Certo, parlare del restyling al campo Italia, a Sorrento, diventa difficile ma per fortuna le canaglie che osano ricordare su giornali, blog e social network che quella struttura rasenta il peggio dell’improvvisazione montata in oltre sessant’anni di bluff politici, sono ancora libere di mordere.

Il libro di Kazantzakis fu riversato in un film di Martin Scorsese, «L’ultima tentazione». Che trasferendo di rimbalzo la querelle a Sorrento, evitando misticismi inutili e noiosi, diventerebbe «L’ultima amministrazione», la pellicola horror di uno stadio che non si farà mai. L’ultima amministrazione. Non cronologicamente, ma ultima nel ranking delle priorità, delle capacità di lavorare per il futuro dello sport a Sorrento, ultima a capire che anche uno stadio può migliorare le cose e ridare lustro a un’immagine di una città esaltata dai tour operator ma che non dà pace neanche ai morti (è di oggi la notizia della necessità di trasferire le salme del camposanto perché un nicchiario è a rischio crollo).

Dopo aver usato il restyling del campo Italia come labaro di entusiasmo per le ultime elezioni, ora c’è il dietrofront. Clamoroso. Ma non per tutti. Chi la fa l’aspetti. E, in fondo, tutti sapevano che si trattava soltanto di un mezzo per acquisire consenso e blindarlo.

Sia chiaro: qui nessuno è così stupido da credere che il campo Italia viene prima della riapertura di una scuola chiusa da 5 anni, di un’altra che va abbattuta e ricostruita, di ascensori per il porto per cui ci sono almeno 10 milioni di euro di finanziamenti regionali prenotati ma ancora da prendere perché fra la seduzione di dare tutto in mano ai privati e l’obbligo di sbloccare l’iter per il bando il Comune si è fermato, nessuno mette lo stadio in pole position rispetto ai punti luce che in collina attendono dal 2010, di strade che sembrano nelle condizioni ideali per ospitare la Parigi-Dakar invece che le mostre d’auto d’epoca e tanto altro ancora (la lista è lunga).

Sì, bisogna fare prima questi interventi. Che purtroppo vengono usati come scudo o parafulmine per evitare di dire che il campo Italia, sostanzialmente, non lo vuole nessuno.

A Sorrento e dintorni non c’è uno straccio di plesso sportivo sufficiente a soddisfare le esigenze più elementari del senso civico. Neanche un campo di bocce professionistico regolare. Zero. Quelli di Trivago, il portale europeo di ricerca e confronto prezzi di hotel, che dicono che le strutture ricettive di Sorrento hanno la miglior reputazione al mondo, lo sanno? Eppure, di turisti riparati sotto le lamiere della pseudo curva Nord durante la pioggia nel match contro il Melfi, ce n’erano. Che poi, alla fine, sono quelli che spendendo fior fiori di euro fanno girare l’economia della città. Come twitterebbe il premier Matteo Renzi, amici, #statesereni.

Salvatore Dare (giornalista di Metropolis)

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