AMARCORD | Pillole di storia rossonera | Rubrica a cura di Antonino Siniscalchi

Il soffio di amarcord che accompagna l’antico cultore di storie ed aneddoti in rossonero allarga l’orizzonte agli anni sessanta per ricordare una vicenda che il protagonista racconta con la consueta ironia senza sorriso di un personaggio che alimenta tuttora, dietro le quinte, le vicende del Sorrento. Lui è Franco Maresca, per tutti «’o nonno», appellativo coniato dalla nonna per la sua sagace imitazione del… «nonno». L’episodio è tornato d’attualità in occasione della gara di domenica scorsa con l’Arzanese, rispolverato dal segretario del Sorrento, Franco Imperato, il quale lo ha sentito raccontare tante volte da memorizzarlo nei minimi dettagli.

Grazie anche alle ricerche storiche realizzate da Antonio Abbate, la storia risale al 12 marzo 1961: Arzanese-Sorrento 0-1.

La squadra dell’hinterland napoletano tornava a giocare sul proprio campo dopo un lungo pellegrinaggio nella zona, durato più di un anno, a causa di una squalifica del terreno di gioco per un’aggressione all’arbitro.

Erano altri tempi. Quando si giocava in casa, in un modo o nell’altro, bisognava vincere: la «pressione» del pubblico amico su arbitro e calciatori, la sottile «attenzione»  sugli avversari. In più c’era il precedente. Si può, quindi, immaginare la condizione in cui giocavano i  calciatori rossoneri in quella domenica di marzo 1961.

Il Sorrento giocò tutta la partita rintanato nella propria aria di rigore pressato alla forza degli avversari, che come si può immaginare, volevano a tutti i costi la vittoria.

Il campo di Arzano ora come allora è dislocato con l’entrata dietro una porta, gli spogliatoi situati dietro quella opposta.

Mancano pochi minuti alla fine, il risultato fermo sullo 0-0, l’Arzanese attacca verso la porta situata sul versante dell’entrata del campo, e lo fa disperatamente per sbloccare il risultato con ogni mezzo, leciti e non. Il clima è pesante, i calciatori del Sorrento sono abbastanza intimoriti, ma resistono. Gli scontri di gioco sono sempre più violenti, senza che l’arbitro prenda provvedimenti nei confronti dei calciatori di casa. Franco Maresca, fisicamente uno dei più piccoli, è l’unico che resta in attacco, nella propria metà campo per non finire in fuori gioco, tentando di costringere qualche avversario alla marcatura ed allentare così la pressione della squadra di casa.

Pochi minuti al termine, l’arbitro è l’unico che dispone del tempo effettivo di gara e dell’eventuale recupero da concedere. Su una palla lunga rinviata dai difensori del Sorrento, «il nonno» si invola da solo dalla propria metà campo, senza esitazioni punta dritto la porta avversaria (quella con gli spogliatoi dietro), il portiere dell’Arzanese, rimasto ultimo baluardo difensivo esce disperatamente dalla propria area di rigore, con aria minacciosa cerca di salvare la propria rete: niente da fare, dribblato, al «nonno» restano trenta metri di campo, la porta avversaria vuota, l’idea si salvaguardare l’incolumità dei propri compagni di squadra e la possibilità di tornare da Arzano con una storica vittoria.

Volete sapere come è finita?

Palla in rete, ma anziché tornare indietro ad abbracciare i compagni, Franco Maresca rientra di corsa negli spogliatoi dietro la porta  e chiude a chiave la porta, l’esultanza solitaria con un orecchio vicino all’uscio per sentire quello che stava accadendo fuori.

Il suo compito lo aveva assolto, la partita durò altri 10 minuti, non si sa quanti fossero quelli di recupero. I suoi compagni non concedono possibilità di recupero all’Arzanese, l’arbitro, forse si rende conto che quel giorno l’Arzanese non avrebbe mai segnato. Il Sorrento vince 1-0.

Vi lascio immaginare il finale di partita.

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“O’ nonn” Franco Maresca (il secondo accosciato da destra) in una foto dell’epoca

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